A bad painting – Antologia di poesie d’amore

ABBRACCIO

Bad painting oltre ad essere il nome di una corrente artistica è anche un modo di dire americano per definire una cosa irriproducibile. Un bellissimo tramonto, una bellissima donna o un bellissimo uomo, se cerchi di fargli un ritratto non potrai mai coglierne la perfezione estetica (nella perfetta compresenza di imperfezioni) o etica. A bad painting quindi, perchè se lo riproduci non ti verrà mai uguale, inevitabilmente scadrai nella qualità della riproduzione in relazione all’originale. E in fondo la poesia ha questo intento, utopico, consapevolmente destinato al fallimento eppure con l’intrinseca volontà costitutiva (del verso stesso) di ricreare quello che si è vissuto. Cadendo nel bad painting. Ma un meravigliosamente immenso bad painting, perchè la poesia è il più bel brutto quadro che l’uomo possa tentare di rappresentare.

L’amore in particolar modo, nel nostro periodo un po’ bistrattato dalla poesia contemporanea, ha una sua collocazione precisa che diventa preziosa a fronte della sua marginalità. Un amore, o meglio un tema amoroso, che per sua natura sa diventare metro di misura non solo del verso ma dello stesso vivendo. Irriproducibile, ma inevitabilmente da dire. Machado diceva altro è il mistero: la tua voce amante. / Svelami il tuo volto ch’io li trovi / fissi su me i tuoi occhi di diamante.

Ho voluto raccogliere in un piccolo post, banalmente per San Valentino, una minuta antologia di poesie che ho chiesto prevalentemente ad alcuni amici (Rossella Renzi, Matteo Bianchi, Antonio Lillo, Daniela Andreis, Sergio Pasquandrea, Sonia Lambertini, Erminio Alberti, Roberta Lipparini, Guido Cupani, Federico Rossignoli, Antonio D’Alfonso dal Canada, e chi vi scrive), e a tre grandi poeti che in questi anni stanno costruendo la letteratura italiana (Mario Benedetti, Giovanna Rosadini, Luigia Sorrentino). Nessun intento realmente antologico, né rappresentativo. Solo un omaggio. Un regalo. Questo perchè la banalità della festa di San Valentino non implica automaticamente che non si possa fare un gesto simbolico (come mi è stato suggerito) per una persona amata. Anche se questo stesso gesto diventa un bad painting. O, per tornare a Machado, un desiderò da solo ricordare, / le ondulazioni amate, la luce dei capelli.








Log, Ambleteuse


Un bianco dove non si mette niente,
di notte
si vede una pagina di Nerval,
il sangue di Esenin, una baita, la strada nuda di una frontiera,
un bungalow sulla costa.


Non è mai tornare se diventa che mi vedi leggero.
La mano attraverso le case è dirti “guarda”
e già ti sporgi sul mare.
E la primavera gira gli occhi nella primavera
se ti dico “guarda quante eriche”.


Difendimi, difendi questa notte bianca,
il giorno ripetuto nel pensiero.
Log, Ambleteuse,
colpi dei piedi sulla strada, facce piene di vento scuro,
i nostri visi nelle mani,
il vento negli occhi chiusi per pensarlo.


E un albero di fiori
sale sullo slargo con la marea
perché la mano è così, amore,
lei va alta fra i tuoi capelli.


Mario Benedetti – da Umana Gloria (Mondadori 2004)








Matrimonio al rifugio Fodara Vedla


È il giorno che pare di condividere la terra con i fiori,
il fiore tenerlo vicino al cuore perché parli.
Ognuno beve in alto il suo bicchiere,
ognuno è bello e pensa che i corpi sono in mezzo ai fiori,
i prati alti sopra ogni cattiva idea del mondo.
Nessuna storia toglierà le erbe dalla roccia,
un altro cielo non sarà il nostro ma la memoria
perché altri vivano e chiedano dopo di noi
le nostre stesse cose:
com’era per loro che erano tutto
innalzati sopra la terra?


Nessuna cultura toglierà le mani alle mani,
la pelle ai vestiti.
Difendiamo anche nella disputa le nostre vite,
ci difendiamo da chi vuole altre cose,
si cerca di venire a un patto,
di non farci troppo del male.


Mario Benedetti – da Umana Gloria (Mondadori 2004)








Et tout ce que j’ignore est ce qui nous unit

Randagi esposti al cielo e alle intemperie,
la sera il crepuscolo ci stinge al suo colore
e il giorno ci risveglia al suo sapore, febbre,
contagio che ci ha presi, se prima eravamo illesi
ora siamo sostanza cariata dall’arsura,
smangiati oltremisura e mai arresi,
mai, per quanto il coagulo indurisca e pesi
nella carne e spiombi giù la mente, niente
dilegua, niente. Eppure, il desiderio, risolleva.


Giovanna Rosadini








Ovunque pullulano mondi
di sottobosco si moltiplicano adesso
sempre più incerti sulla schiena
dell’attimo che ci conduce
creature risalgono, scivolano
in uno schianto a terra d’universi non ancora,
non ancora. È questa la nostra colpa: non vederli,
non sentirli
non volerli vedere
non volerli sentire

Non si dovrebbe dire, non è bello da dire,
ma oggi pensando all’amore
non ritrovavo le ragioni del cuore –
smarrite nel mio stesso smarrimento,
bianca radice cresciuta nell’impasto
d’ombra di un esilio, viva creatura
che non conosce luce, inerme e cieca –
forse sanguinerà nel sole estivo, divelta
alla sua terra, forse invece sbiadirà
fino a dissolversi in un alito d’aria,
lei stessa bastoncino d’incenso combusto
sull’altare di una memoria che non si
precisa, ma acuta, presente, intrusiva.
O magari prenderà una forma, sarà
la vela che taglia il mare in diagonale
il ritmo che muove le colline sotto il sole
e il sorriso dei figli per la fine della scuola.


Giovanna Rosadini








quella che sto lasciando
deve vivere o ferirsi
tutta piena di quel ciclo
schiusa
la primavera ha raggiunto lo sterno
all’altezza del cuore l’erba


il petto tocca
alla prima ora
entra la campana
allo svegliarsi tocca
spinge il fiato dalla montagna
lascia una lacrima sul cuscino
enorme l’ora del mattino


Luigia Sorrentino – da L’asse del cuore in Almanacco dello Specchio 2009 (Mondadori, 2009)








calano masse di rondini
come pioggia impennano
torme di creature slabbrano
la membrana del cielo


nelle mani che disponi, nel gesto
del giorno canta il sogno,
si espande e colma
il sorgere a dismisura


tra le mani pochi nomi
liquido il primo amore
sciolte nel fiume le altre tinte
in quell’ascesa
porti con te l’impeto della notte
e tutte le sue braccia


allora sei in questo nascere
forma che si genera


Luigia Sorrentino – da L’asse del cuore in Almanacco dello Specchio 2009 (Mondadori, 2009)








È questo ciò che fanno i poeti
– nonostante se ne parli e se ne
parli ancora non si è capito –.
Rendono eterno il transeunte,
perfetto l’imperfetto, chiaro
ciò che non possono comprendere.
Così io vorrei rendere assoluta
– una misura per il mondo –
la sottile lunghezza delle tue cosce.


Alessandro Canzian








Un ragazzo lascia un curriculum
nel baretto dove mi sono fermato
e penso potrei farlo anch’io. Ci
scriverei che ti ho amata tanto
e che ti ho persa con altrettanta
perizia. Ci scriverei
la misura dei tuoi piedi, la conta
millimetrica delle tue dita, forse
alla barista perfino piaceresti.


Alessandro Canzian








Come un felino


Mi prepari del cibo ogni mattina
e mi baci le palpebre, una per una.
Nella casa ci sto come un felino
abito i luoghi senza fare rumore
poi riposo con te sul tappeto
ci accompagna un odore di pace
tu con cura mi lecchi la schiena
e di nuovo mi dici animale.


Rossella Renzi








Sibilla ama le cose che stanno
per aria foglie nuvole antenne.
Ama le cose che precipitano
nel buio e dopo un attimo si accendono.
Ama il colore, ma difende il nero
come il bianco teso sulla schiena
e quel neo che ti fa dolce la bocca.


Rossella Renzi








Non sopportavo di avere perduto
l’inizio, il tuo “ti amo,
ti amo, ti amo,
voglio passare la vita con te”,
non ha retto alla nottata di viaggio.
Riparavamo ballando un abbraccio
dietro le vetrate della lite,
la camera col nostro letto,
un abbaglio nell’abisso.


Matteo Bianchi








Una fessura: biancore allagava
le nubi sull’argine del Reno
e faceva male agli occhi guardare
i ruderi emaciati,
i monchi seccarsi dei tronchi,
lo spazio spogliarsi in niente.
“Quanti sbagli”, mi rinfacciavo
in auto allo specchietto
non trovando le tue ginocchia.
Era appannato il mio sguardo
drogato dal collirio:
m’infiammava i colori
l’ambigua nostalgia
di chi si volta indietro.
“Quanti sbagli”, mi avevi rinfacciato
dopo il lavoro, e sbraitavi
intorno alla cena agitando le braccia.


Ora l’aria di casa
ha sole le mosche, ubriache
e il mio ronzare trascurato.


Matteo Bianchi








Non ti piaceva la poesia giapponese
l’utopia di esprimere
il tuo lasciarmi
senza mai dire “lasciarsi”
con tutto il pudore che hanno le parole
di spiegarsi più
della forma nel suono
come le pietre quando le sfreghi
ne nascono scintille.


Non ti piaceva la poesia giapponese
né altro di me che non so dire
l’estate macchiata di neve
la tua memoria persa in mare.


Non ti piaceva la forza di tanta verità
concentrata in un fiore
la notte ci sovrasta
e preme sul fianco morbido il palato
l’addio bellissimo e studiato
che mai ti ho scritto
e mai ti ha interessato.


Antonio Lillo








L’estinzione delle anguille


La vita è cosa assurda la vita è senza scampo se
legato all’albero maestro
ti ho persa dietro un paravento
da cantiere. Io lo credevo – sciocco –
cielo profondissimo e notturno
invece camuffava impalcature
il tuo cuore anch’esso di ferraglia
sublime e sordo pure qui
che avanza la tempesta
che il vento scuote nelle ossa il telo azzurro e pare
un mare che si gonfia esplode
un finto mare per anguille senza voce
senza affetto
senza più un biglietto nel diluvio
per persone sole ormai
vedove di marinai
neppure di poeti che ne cantino la morte a lungo
e controvoglia.


Antonio Lillo








Se ricordi il fiore, o l’erba lungo la strada
o quella trottola verniciata
restituiscimi le istruzioni
mi è rimasta in gola
la lisca della tua gioia;
le dita ignorano come curare
questo tempo da digiuna.


Daniela Andreis








Ti presenti
come non ti penso
e mi pulsa nell’orecchio
il ferro velocissimo di un treno;
lo so che ti opporresti al vento
con la fortezza di un fiore
e che di piegarmi, sporcarmi la fronte,
non mi importerebbe
se fosse questa la sicurezza
della conquista
di una lingua tenera,
o del silenzio tra le parole
la stretta alleanza.


Daniela Andreis








Somno lapsos patefecit ocellos…”


Di notte continui a baciarmi anche
dormendo se solo ti sfioro la guancia
e questo tuo aderire all’inevitabile
con l’allegria di chi abita
il tuorlo del tempo – senza mai
stancarti del Natale o dei pavimenti puliti –
come se tutto quel che accade davvero
ti riguardasse


questa vita trasparente


è ciò che cerco e rifiuto da una vita.


Sergio Pasquandrea








Sulle panchine (ora che è estate)


Spazio, per favore, fate spazio
intorno agli innamorati.
Lasciate che si espanda la bolla
di luce dei loro corpi.
Passate in silenzio, non chiedete
nemmeno il saluto
magari assaggiate l’aria
e allontanatevi migliori.


Sergio Pasquandrea








Per te


Per te, che mi guardi
in linea retta – di parole –
e stringi le curve dei fianchi
(parli d’amore con gesti d’autore)
Per te, che non sai di domani
e oggi mi parli di sogni
(sguardo sul verso la notte che veglia)


Mi sono vestita di voce
stonata e amari silenzi
dipinta la maschera in volto
di bianco-cera e nero di lutto
e oggi, che guardo nascosta
le spalle e i disegni d’oriente
aspetto illusa, luna nuova.


Sonia Lambertini








Credo nella carne
e nell’incontro, d’ossa
allo sfregamento
rumore secco
al legame, chimico


Esiste il baratro


e li ci affacciamo
stretti, un po’ alla terra
su cui ci amiamo
e un po’ alle natiche
ai seni
che l’importante è sentire.


Sonia Lambertini








La sera


Il guanciale tuo può vantarsi, adesso,
d’esser diventato scrigno e giaciglio
d’auree essenze dei boccoli tuoi,
e fa la tua bocca sigillo
dei sogni tuoi lievi. Trema ogni tanto
irrequieto un ciglio
lo specchio di un torvo pensare


ma soffia lontano da te tutto questo
l’anima mia, venuta con te
a dormire
al suo posto.


Erminio Alberti








Brioscina


L’amore – quello vero –
lo trovi certo
non
nei versi polverosi
dei poeti menzogneri:
lo trovi accanto a te
la mattina
tra l’odore del caffé
e una brioscina
o la sera.


E dice amore
con il cuore.


Erminio Alberti








Mio che mi sfinisci


Mio che mi sfinisci
di impeto e passione
ho un tremore di gambe
un bruciare da tormento
Non ho quasi più respiro
né più orientamento.


Mio che mi consumi
rallenta tu
che io non ci riesco
troppa è la bellezza
di questo esaurimento
e troppo la fatica
di questo prodigio.


Mio che mi sfinisci
con la bocca e con le mani
Piano…
Voglio amarti anche domani.


Roberta Lipparini








Quelle sonorità spezzate


Quelle sonorità spezzate
quei gridolini
che sembrano piccole cascate
Quei quasi singhiozzi
che salgono in alto
e scendono infranti.
Tu quando ami… canti.


Roberta Lipparini








Paesaggio con figura


Ho la fortuna
che tu non hai
di poterti osservare anche di spalle
sullo sfondo delle cose


Tu che non ti sai bella
sapresti allora quanto è bello il mondo che ti ha
piccola nel proprio centro


Guarda, mi dico
ssh, mi rispondo


E ti fai più minuta
e il tuo esserci è un segreto
che a volte mi pare quasi di sapere


Guido Cupani








Stirare una camicia


Colletto, schiena, manica, polsino,
rovescio, giromanica, davanti,
giù dritto fino all’orlo, lungo i fianchi
e un ultimo colpetto sul taschino.


Mi dici che è comune ai principianti
temere il ferro, allontanare il dito,
e allora il lembo scappa. Ma è destino
che resti qualche grinza: si va avanti.


“Adesso prova tu” dici. E io provo,
sbaglio, indugio, riprovo; con maldestra
creanza porto a termine il lavoro.


“Non male, come prima volta, amore”
sorridi. E il cielo è tutto alla finestra,
spiegato a perfezione, come nuovo.


Guido Cupani








Quel che ci interessa è il fiato da mozzare
la tortura della testa nella vasca
per costringere a parlare o almeno
ansimare, il profumo del giacinto
blu ed immenso come il mare.


Federico Rossignoli








Morire è per sempre, insomma un diamante;
e perderti avrebbe la stessa sua chiarezza
stessa durezza, la stessa inutile lucenza.


Federico Rossignoli








Fulmine


In questo paesaggio di interminabili pianure verdi
io sono la macchia su un pezzo di carta.
Una compiutezza di questa esperienza giace
in cima alle praterie di grano quando incontrano
un cielo blu scarabocchiato con figure di nuvole;
lassù, i nostri cuori sono avvolti nel cotone.
Vedo la fine del mondo e so che la morte
del dolore aspetta lì come un’aquila;
tu sei l’aquila che si tuffa sulla mia preda.
Ho amato come mai prima, obbligando
ad aprirsi le labbra strette dell’amore nuovo,
aspettando che l’esistenza esploda brillante,
vigorosa, fiera come una qualsiasi montagna.
E quale fulmine laggiù per gridare il mio desiderio!


Antonio D’Alfonso








Ritratto di una donna


Molte sono le donne per le quali le parole degli uomini
sono molle di letti cigolanti; per altre, campane nuziali.
Ma ce n’è una che tiene a distanza tutto quello
che vi viene in mente. Il suo odore è un verde fresco.
La testa china – a volte innocente, altre volte
una che la sa lunga –, taciturna,
capisce la creazione di un’anima più capace.
Le ambiguità dei suoi sorrisi indicano
una coraggiosa compassione che rende l’amore superiore.


Né l’odio né l’indifferenza possono inaridire
la consapevolezza della vergogna e del disonore.
“Il mio passato diede nascita a questa donna che ti attrae”.
E adesso, non si può essere gelosi delle donne
che ha tenuto nella grazia del suo vuoto.


Antonio D’Alfonso








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