Oppure mi sarei fatta altissima – ass. cult. Terra d’Ulivi 2007

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PRIMO E ULTIMO CAPITOLO DEL SAGGIO SU CLAUDIA RUGGERI

AVVERTENZA

Il presente lavoro non vuole essere una lettura critica dei testi di Claudia Ruggeri ma più semplicemente una lettura poetica delle sue poesie. Ringrazio l’associazione culturale “Terra d’Ulivi” e in particolare la persona di Elio Scarciglia per il supporto fornitomi e la madre di Claudia, Maria Teresa Del Zingaro, per le informazioni concesse.

Si è lavorato sull’edizione peQuod di Inferno minore con una particolare attenzione al lavoro critico di Mario Desiati: Note per una poetessa.

Pertanto tutte le note e i rimandi sono da intendersi esclusivamente come riferimenti all’edizione peQuod.

Alessandro Canzian

OPPURE MI SAREI FATTA ALTISSIMA

«salve sono tornata: sono malata malata d’amore»

(da Pagine del Travaso)

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Quando ho letto per la prima volta i versi di Claudia anch’io come altri ho provato quello strano senso di meraviglia e stupore che tanto caratterizzano l’incontro con questa poetessa. Ma direi una meraviglia e uno stupore che molto s’approssimavano a una confusione. A uno sbalordimento in primis vocale e poi d’immagini tenendo ben conto che questi due fattori sono fortemente correlati tra di loro. Le parole s’attorcigliano alle immagini in una musica stentorea, ruscellante apparentemente senza controllo, profondamente autobiografica e autoanalitica. Facendo le debite distanze verrebbe da citare il passo delle Seniles di Petrarca:

incapace di comprendere alcunché di quel che  leggeva, era solamente ammaliato dalla dolcezza dei suoni che venivano da quelle parole

Perché il punto focale in Claudia è proprio la forte pressione emozionale che i suoi versi hanno a prescindere dal significato. Claudia crea un linguaggio, un canto, e con questo adorna sé stessa e la propria vita in cerca di un riscatto dalla vita stessa. Attraverso la poesia. Claudia ha una poetica eccezionale nel senso che fa eccezione da tutto ciò che le sta intorno. Anche a distanza di dieci anni. E questa eccezionalità è in qualche modo la sua solitudine e la solitudine della sua opera. È ciò che la rendeva distante dagli altri sebbene in continua ricerca degli altri. È ciò che ha reso i suoi scritti fino ad ora ingiustamente distanti nonostante siano più vivi e significativi di molte altre opere contemporanee.

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Quando l’amico Elio Scarciglia mi ha telefonato per parlarmi di Claudia ha detto una frase che molto mi ha colpito e molto mi ha fatto riflettere. Ha detto: «ho difficoltà a parlare di Claudia perché sono di Lecce, se non fossi di qui probabilmente sarebbe tutto molto più semplice». Ed io mi sono domandato: perché bisogna essere così tanto estranei ad una persona per poterne parlare? Perché ci sono troppi affetti, troppe responsabilità, che minano il campo già arduo dei suoi significati. Potrebbe essere una possibile risposta. È chiaro che il parlare della donna Claudia non può prescindere dal parlare della poetessa Claudia. Tanto che non pare esistere una vera e propria differenza tra le due personalità. Un margine di confine che sia chiaro. Soprattutto per lei. Claudia viveva la sua vita come una lunga poesia e scriveva le sue poesie come un atto vitale non dissimile dal respiro, dal cuore che pulsa. Tenendo presente questo dato bene si spiega la definizione che Claudia dava di sé stessa, «malata d’amore», in un impeto tutto letterario e teatrale che la portava a citare il Cantico dei Cantici anche al di fuori della pagina scritta.

In questa direzione azzeccatissima è la definizione di Claudia lettrice di sé stessa da parte di Pietro Berra: «bambina in un bordello», mutuata da Isabella Santacroce che più ampiamente pare identificare l’intero suo modo di vivere e di essere. E anche i suoi sbagli probabilmente, che non fatico a credere velati da una certa innocenza quasi infantile, un po’ ingenua. Me la immagino mentre fa l’amore con uno degli amanti della sua vita. Piange, tesa e felice, mentre abbraccia il corpo di ciò che non è un uomo ma una promessa. Un giuramento di pace e riscatto dagli errori e dal vuoto che le pesa. Una prospettiva di futuro anche. Un paradiso per lei non dissimile da quello dantesco. Piange. Piange lo stesso pianto di quando quella promessa l’abbandona e la lascia ancor più vuota e sola nel capire che ha sbagliato. Di quando lei stessa si abbandona per il senso di sconfitta che nutre il suo sempre più ingombrante fatalismo. Infine scrivendo: oppure mi sarei fatta altissima

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Per comprendere Claudia è importantissimo capire che una fu la sua drammatica e bellissima verità: l’amore è tutto. È dannazione e salvezza. È legaccio e redenzione. È per noi la chiave che permette di aprire la porta non solo dei versi ma anche dell’intreccio magmatico di citazioni che li compongono. Si potrebbe dire che ogni essere umano ha bisogno d’amore e sarebbe un’affermazione assolutamente vera. A maggior ragione si potrebbe dire che ogni donna necessita d’amore e sarebbe altrettanto corretto affermarlo. Ma sarebbe anche doveroso sottolineare quanto non sempre questo bisogno d’amore riesca a trovare soluzione. A volte la voglia è troppa e troppo utopica. A volte il concetto d’amore che si vorrebbe dare e vivere è talmente alto e grande che acceca gli occhi e finisce con l’ingabbiare la persona in un circolo aporetico di errori/pentimenti/sensi di colpa nel quale c’è sempre qualcuno pronto a dare una spinta verso il baratro -è purtroppo la natura umana-.

Le poesie di Claudia sono oltre ogni dubbio poesie d’amore verso un tu e verso sé stessa. Tenendo conto che questo tu appare in realtà come una forma differente dell’io proprio a causa delle delusioni sofferte nel vivendo, che annullano la reale consistenza del tu, dell’altro –ma si potrebbe dire che è un po’ il dramma contemporaneo delle relazioni umane-. Claudia sogna un tu ideale e in questo riversa tutta l’urgenza del suo amore pur rimanendo allo stesso tempo fortemente legata alla realtà. Pur cercando questo tu ideale dentro la realtà. Soffrendone gli inevitabili attriti.

«oppure mi sarei fatta altissima»

(da Inferno minore)

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Per concludere questo breve excursus va precisato che quello di Claudia è un disagio che va prima di tutto pensato, ponderato. Perché solo sbrogliando il bandolo della sua matassa si può capire qual è la vera direzione dello sguardo di Claudia. L’inizio, il viaggio, la destinazione. E il fallimento.

Perché necessariamente Claudia ha fallito il suo percorso. Ha fallito come tanti prima di lei e come tanti purtroppo dopo di lei falliranno. Il vuoto e la solitudine fanno fare all’uomo cose orrende, verso gli altri e verso sé stesso. Fanno sentire l’uomo senza alcuno sbocco di salvezza. Fanno sentire l’uomo poco amato e pertanto più bisognoso ancora d’amore. Fanno creare nella mente un Dio che come ultima ancora di salvezza trattenga il cuore dallo spezzarsi per niente. Forse è questo ciò che pensava Claudia quando, sulla soglia della notte, ha deciso di chiudere il sipario dell’ultima sua poesia precludendosi un futuro.

Pascal afferma «tutti gli uomini desiderano essere felici» e in qualche modo anche Claudia, per un momento, ha identificato la felicità con la fine come prima l’aveva identificata con l’amore. E parimenti all’amore anche questo anelito non ha fatto altro che relegarla ancor di più nella realtà. Nel suo male. Non possiamo, e questo lo dico come uomo, non pensare che Claudia abbia sbagliato. Ma allo stesso tempo non possiamo non condividere e rispettare il suo dolore e il suo isolamento attraverso il suo lascito, i versi, che ne parlano così chiaramente.

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Claudia fu poetessa oltre ogni dubbio. Leggere Claudia porta a riflettere su ciò che è l’aspettativa della realtà e la realtà stessa. Su ciò che è la nostra percezione della vita e ciò che è realmente la vita, con tutti i suoi sbocchi e fallimenti. Purtroppo la realtà confonde nella vita dolore e felicità esautorando quest’ultima della sua sostanza e lasciando solamente un continuo desiderio di quiete che ci sfugge. Un intenso inferno nel quale non sembra esistere alcuna luce anche se, magari, la luce è proprio appena al di là della più semplice attesa. Claudia lascia di sé un’impareggiabile forma di letteratura trasversale. Una forma che probabilmente non avrà alcun seguito a causa della sua complessità che è anche il margine della sua completezza e grandezza. Letteratura che, se compresa, può veramente dare nuove sfumature al termine “poesia d’amore”.

E poco importa di quale amore si sia realmente trattato. Amore assoluto. Amore spirituale. Amore carnale. L’amore è tutto questo. È purezza. È totalità degli opposti. È speranza. È completezza e talvolta è vuoto. È fragilità e saggezza. È bellezza.

Ora è, in parte, anche Claudia.

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