Paintings – Rachel Slade

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Si parlava giusto qualche giorno fa, con la cara Giovanna Frene in una splendida presentazione in una libreria di Padova, del concetto di fatica in relazione alla poesia. Fatica linguistica, fatica tecnica, fatica necessaria ad acquisire quegli strumenti propri della parola e dell’arte. Appena di ieri invece una mostra dei disegni di Mauro Corona a Maniago, una cosa un po’ di nicchia preludio ad un incontro ben più strutturato a teatro. Anche in quel caso è emerso dallo scrittore ertano un concetto di fatica intesa come esercizio costante e giornaliero, tanto indispensabile da essere parte integrante dell’opera finita.

Ma la fatica è anche il vivere, che poi si riflette nell’espressione poetica in tutta la sua inevitabile nudità. Perchè l’arte, come il tempo, ha il grandissimo pregio di non poter mentire. È una regola banale, semplice, ma concreta: non c’è spazio per i giochi, le furberie, l’unica arte che resiste al tempo è quella che sa dire qualcosa. Per questo sottolineo il fatto che non solo l’arte nella sua espressione fisica, nel suo atto creativo, è fatica, ma lo stesso vivere che è alimento dell’atto creativo è fatica, in quanto solo questa fatica può dare quell’unica cosa che realmente serve oltre alla maestria tecnica: qualcosa da dire.

L’arte è forma e significato, ma senza significato quanto senza forma l’arte non ha senso. Non ha tempo. Che poi piaccia tanto discutere delle fiere delle vanità o delle presunte morti dell’arte è cosa che sostanzialmente poco ci dovrebbe interessare. Soprattutto adesso che abbiamo visto che gli opposti non hanno poi molta differenza (per fare un esempio politico la destra e la sinistra), così come non sussistono distanze tra le fiere delle vanità e i proclami di morte dell’arte. L’arte ha un suo canale preferenziale che non muore, semplicemente si nasconde, cresce nella sua fatica, e di tanto in tanto viene fuori.

I quadri di Rachel Slade in tutto questo c’entrano molto, entrano e si dissolvono e riemergono dal concetto di fatica in un laboratorio continuo fatto di pennellate e rifacimenti. Un ripensamento continuo che dalla dolcezza della pittura ad olio passa alla carezza aspra della carta vetrata per poi tornare in punta di pennello non per incertezza o mancanza di volontà, ma per crescita. Per la fatica d’una crescita.

Una ricerca della forma, quella di Rachel, che non è più (soprattutto in questi ultimi quadri) ricerca della propria forma interiore ma una ricerca della forma del dialogo col mondo. Della forma del rapporto col mondo. Un mondo che ha la sua difficoltà non tanto nella sua esistenza quanto nella sua relazione con l’umano. Che impietosamente crea delle domande (quelle domande tanto amate e cantate dal poeta vietnamita Chi Trung): che posto abbiamo nel mondo? Come dobbiamo pensare il mondo? Che forma dobbiamo dare al mondo?

Rachel bisogna dire ha una situazione particolarmente favorevole in questo percorso che comunque la trova affine. Americana vive da dieci anni in Italia e questo la porta a confrontarsi quotidianamente con la differenza di culture, di modi di vivere e di essere. Da una cultura americana probabilmente più leopardiana della nostra, dove tutto è pericolo, tutto è ansia e competitività, ma anche più precisione, è passata a una cultura italiana in molte parti più morbida, meno aggressiva, ma anche meno precisa e più provinciale. E il mondo in questo passaggio tra le culture le è cambiato perchè ha acquisito connotati e prospettive oltremodo differenti. E in questo la forma del mondo.

Artista, Rachel, dalla storia personale costellata anche di difficoltà, alcune gravi, che senza falsi moralismi hanno nutrito fortemente e del pane giusto la sua arte. Perchè le ombrosità della vita acquisiscono luminosità nel momento in cui si è capaci di renderle tesoro, esperienza, motivo di crescita. È la vita, ed è la fatica della vita. Artista, Rachel, non da mostre o passerelle ma più rinchiusa nello studio (puntualmente disordinato e pieno di libri di poesia) in un laboratorio continuo di ricerca, di prove e di esercizi.

Nessun quadro in realtà può dirsi mai finito ma una cosa la posso dire per certo: spesso il quadro nasce da una lettura, da alcuni versi di poesie, che Rachel ama leggere non solo come piacere personale ma come vera e propria posizione artistica. È infatti convinta (e mi trova d’accordo) che l’arte contemporanea abbia bisogno di scavalcare i limiti della propria solitudine per acquisire gli strumenti delle altre arti. Per dipingere bisogna leggere poesie insomma, e per scrivere poesie bisogna andare a vedere qualche bella mostra. Concetto che approvo appieno, come veramente mi trova d’accordo questa poetica del lavoro continuo che tanto ricorda la Dottrina dell’estremo principiante dell’amatissimo Luzi.

Di qualche tempo fa una piccola nota che avevo scritto su Rachel, e che qui ripresento. Nota in fondo ancora valida e allo stesso tempo non più valida perchè passata, trascorsa. Ma ogni nota su di lei in fondo sarebbe già passata, trascorsa, in accordo con quest’arte intesa come flusso di crescita e ricerca, di maturazione, nella quale si possono fotografare alcune tappe ben sapendo che non saranno le ultime, e che domani tutto potrà cambiare. Ma che non cambieranno quelle domande che sono il fondamento dell’arte e della poesia, e che nutrono i quadri di Rachel in ogni sfumatura, in ogni ombra, in ogni illuminazione. Nei quadri e al di là dei quadri.

Rachel Slade, nata a Putnam nel Connecticut (USA), vive a Maniago (Pn). Figlia d’arte (il padre è il pittore Duncan Slade) ha cominciato a dipingere a 15 anni accompagnando lo studio della pittura con lo studio della poesia e della filosofia secondo i consigli paterni. Dopo alcune esperienze e incontri artistici negli Usa ha abbandonato la pittura per riprenderla poi di recente. In Italia ha presentato i suoi quadri in piccole personali presso l’Osteria dei Poeti di Aviano e la Biblioteca Civica di Maniago. Sempre a Maniago ha collaborato all’organizzazione della manifestazione I territori dell’uomo coi pittori Dino Facchinetti, Sergio De Giusti e Cesco Magnolato. Ha vinto il primo Festival dell’Arte di Grado nel 2012 e nel 2013 ha partecipato al Festival Orchestrazioni di Portogruaro (Ve). Una pittura in continua evoluzione che fa dello studio umano e artistico il suo punto di forza. Una pittrice che predilige la ricerca e il continuo confronto con la pittura classica e contemporanea in un work in progress dall’altissimo livello intellettuale. Tra i cardini della sua ricerca la sfida dell’artista, la domanda dell’arte rispetto al mondo, il concetto di duende secondo la teorizzazione di Garcia Lorca. Un’attenzione particolare alla forma e al colore come atto di allineamento rispetto a Dio e alla Natura. Tra i suoi padri artistici Kandinsky, Mirò, Klee, Rothko, George Tooker and Alice Neel.

altre cose qui: rachelsladeart.wordpress.com