Evviva la Poesia è vegana!

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Ebbene si, ve lo dico io: la poesia non è morta, ma non è nemmeno viva, non è nata prima dei poeti perchè in effetti è un’espressione dei poeti, una loro comunicazione. Non è nemmeno stata uccisa dagli editori in quanto gli editori stessi vengono ben dopo i poeti, che a loro volta vengono prima della poesia. Certo ora sarebbe facile ironizzare su una sorta di terzo sesso della poesia che sfugge alle catalogazioni e sorge quando serve. Ma nemmeno questo basterebbe a spiegare il fenomeno poesia soprattutto oggi che tutti ne parlano. Da Berardinelli a Voce a Di Stefano e via dicendo. Il tutto nasce dal patatrac di Mondadori che chiude definitivamente la collana di Poesia Lo Specchio. E tutti a parlarne. Ma aspetta! Ci siamo sbagliati! Tiziano Fratus a settembre pubblicherà un ebook di poesia con Mondadori, sulla falsariga di quanto già fatto da Feltrinelli. Ma dunque questa benedetta Collana chiude o non chiude? O si trasforma?

Ripeto, la poesia non è viva e non è nemmeno morta, secondo me è diventata vegana. Perchè vegana? Perchè è un qualcosa che nessuno si aspettava e nessuno poteva prevedere. Cioè, immaginatevi un mondo in cui tutti dicono cos’è la poesia e cosa non è la poesia, e questa disgraziata diventa l’impensabile, l’imprevedibile: vegana. Ma cosa significa poi vegana? Che non mangia carne, ma non solo. Che non vuole nutrirsi di nulla che venga dall’uccisione o dallo sfruttamento degli animali. Ma qui non parliamo di animali, ma di poeti (c’è differenza?). E allora cosa vuol dire che la poesia diventa vegana? Forse che non vuole uccidere o sfruttare nessun poeta? Non vuole più scegliere? Forse allora siamo tutti poeti?

Siamo ben lontani dai tempi di Moravia che al funerale di Pasolini diceva: Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto dentro un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeti. Il poeta dovrebbe esser sacro. Oggi pare una necessità quanto mai impellente (ahi ahi, un vero e proprio prurito) mappare tutte quelle decine di poeti che scrivono e pubblicano. E di chi è la colpa? Degli editori che li pubblicano? Sarebbe difficilmente pensabile un editore che pubblica solo i libri di tre o quattro poeti in un secolo. L’Editore in fondo non definisce il poeta, solo lo propone. E allora la questione si sposta su un altro piano, e diventa spinosa: come definire un poeta?

Alcuni anni fa pordenonelegge, che pure ha poca simpatia per le pubblicazioni della Casa di chi vi scrive, aveva tentato una mappatura ponendo subito dei requisiti: poeti tra i 20 e 40 anni che hanno all’attivo almeno una pubblicazione non autoprodotta. Tra i vari esperimenti di mappatura, non ultimo quello dell’Università di Bologna, a me pare che pordenonelegge abbia posto la questione in una possibile direzione. In fondo in tutte le catalogazioni abbiamo dei requisiti essenziali da soddisfare, dei criteri. Con questo non voglio dire che le varie mappature, non ultima quella di Di Stefano sul Corriere della Sera (da cui l’immagine di copertina di questo post), siano errate, solo fanno emergere la domanda: chi può essere definito poeta?

Tentiamo alcune ipotesi: è poeta chi ha pubblicato con una Casa Editrice di chiara importanza? Bene, allora dobbiamo considerare Francesco Facchinetti un narratore italiano dato che ha appena pubblicato un romanzo con Mondadori? (ma non era un cantante? O un presentatore? Forse ho perso io qualche passaggio come con un altro cantante, Ligabue, che con Einaudi ha pubblicato il libro di poesie Lettere d’amore nel frigo). O forse dobbiamo considerare poeta chi ha vinto un importante Premio Letterario? Certo prima bisognerebbe definire quali siano i Premi importanti tra le decine e decine oggi in Italia e togliere quanti, in maniera ovviamente molto efficace, fanno vincere i nomi più utili al Premio stesso. Oppure chi ha più articoli e/o recensioni? O chi ha venduto più libri? Con gli animali è tutto più facile: un mammifero è un animale vertebrato che ha le ghiandole mammarie (anche se in questo caso bisogna ammettere che anche diversi poeti e poete contemporanee hanno le ghiandole mammarie). Forse è per questo che la poesia è diventata vegana.

Potrei a questo punto definire una personalissima mappatura poetica sulla base di un criterio più o meno indiscutibile: quanti conosco o che ho incontrato almeno una volta nella vita, e che hanno pubblicato almeno un libro di poesia.

 

Giovanna Frene
(Non si sarebbe dovuto dimenticare l’abbandono / l’idea del disfacimento molecolare del cuore / ad ogni rintocco dell’alto sole del tempo / il bene diventa sempre più male quale-è / e l’incompiuta nostalgia dell’inscorrente / discende sul capo di ognuno in forma di mente)

Silvia Bre
(Ma pensare, pensare è affrancarsi / mentre che sogna addormentata nella terra: / in te che mi riguardi e sei / quello che sono / distendo questo mio corpo fedele / nato per raccontare della luna / quando va via da sé / quando senza più noi va da nessuno)

Giovanna Rosadini
(L’ultimo ricordo è la tua voce, / prima che tutto si confonda / e poi sbiadisca, in controluce; / dopo c’è stato un volo nella notte, / un tuffo dentro l’acqua più profonda, / lo scivolare netto dove l’ombra inghiotte / l’aria, e l’onda è un vortice che spiomba… / Mentre ogni cosa rimbomba per voi / che rimanete, a custodire il corpo inerme / chiuso nel silenzio e nell’assenza, / ormai slacciato da ogni appartenenza…)

Maria Grazia Calandrone
(vista frontale della cavalla: bruna, lucida, vigile. Porta / il calco triangolare di un tallone / bianco al sommo del capo: uno schizzo lunare. / la bestia è nitida come la luna: / il rilievo del muso, la struttura / dei pettorali, la conca forte / dei lombi. una forma alla piena potenza, nera / in fondo alla strada del quartiere: ispeziona / l’erba, gli stenti cespi / di malva ai piedi del muretto / che asseconda la minima radura)

Sonia Gentili
(cammina sul ferro e sulla luce / il merlo signore di misteri, non / vola, e instilla sgomento e dubbio / nei mortali: scivola, padrone / delle altezze, ad ali chiuse / sull’acqua del ferro illuminato: / sono le zampe un invisibile battello / uscito dal porto eterno / del mattino)

Luigia Sorrentino
(come salvare questa stirpe / chi penserà a lei / non ci sfiora il ricordo delle conifere / sotto la bocca tagliata del monte l’occhio / che indaga il volo del passero e del merlo / l’occhio che stana la volpe ogni vibrazione / ci fa tremare davanti a lui / che ammonisce molte ore prima della sciagura / gli abbiamo chiesto di tenersi al centro / per reggere l’urto e di procedere con calma / giacché la lentezza è il rito / che presiede il passaggio dell’epoca)

Zingonia Zingone
(Soraya vende il suo corpo, compra / allegria. Vende allegria, compra / oblio. Si libera dal presente / inchiodandosi alla croce della lussuria, / martire del piacere e della vertigine. / Erotismo, fantasma che la abita / e spaventa: seme catapulta / che l’ha scagliata in questo mondo)

Maria Pia Quintavalla
(Il suo cuore intonava motivetti, / il mio suonava un ballabile a volte un sax / discreto, acuto: il sigo, / lo chiamavano nella mia terra. / Un giorno uscivamo per una passeggiata, / l’altro, una conferenza; esulavamo / da marciapiedi abituali, / ma esultavamo anche nelle rispettive mani / scegliendo costeggiare ciascuno la sua riva)

Mary Barbara Tolusso
(Cammino con impurità minime, / ferro ed altri elementi. Si effondeva / una luce di parole in grado / di resistere, / ma la porta era già chiusa allo spettro / delle stelle. Abbiamo aspettato. / Non sono tornati)

Giulia Rusconi
(Tutti mi dicono che sono una donna / e bella e che ho spalle ampie / gambe robuste di ferro. / «Cammina da sola ora». / Io non cerco che una mano / grande che mi copra tutta la faccia / non mi faccia invecchiare)

Isabella Leardini
(Ho un nuovo cane che dorme di fianco / ma tornano le stesse sere lunghe / le porte che sbattono addosso / senza la scossa accesa del fragore. / Bisogna avere la natura di chi resta / per saper tenere gli occhi sugli addii / che durano di più a farli da soli)

Rossella Renzi
(Perché novembre schiaccia le ombre / ricuce brandelli come pezzi di foglie. / La volpe è ferita sul fianco / le fiorisce una macchia sul manto. / Tienimi le mani nel bianco / nell’ora in cui la luce si piega / il moto dell’acqua che sale / è un’onda che falcia il respiro)

Chiara De Luca
(Ti siano pudiche le stelle / erose da pupille rifugiate e arrese / all’esistere distante di speranze, / perché non abbia nome questa notte / di volti e vele rotte strade in anni / luce di sentenze, sia invincibile, / già stata – accesa – poi – precipitata / al passo del tempo inavvenuto, / alba primordiale è buio / l’utero di quel che non ritorna)

Giovanni Turra
(Non c’è sguardo che fissi la mia nuca / ma un’altra nuca ancora, / seduti come siamo, / lo sconosciuto e io, / dentro il gazebo che fa vela / a Treviso, in Piazza Pola. / Impareremo a decifrare, / immobili entrambi e premurosi, / l’orografia dei corpi, / le superfici vaste, / le nostre schiene / come tabulae incisae. / Insetti ermafroditi a pelo d’acqua / che si toccano da dietro)

Francesco Tomada
(Quando i bambini cominciano a parlare / non pronunciano frasi intere / ma singole parole ridicole e imperfette / però palla è palla / gatto è gatto / ed è una cosa imparata che resta per sempre / a me di tutto l’italiano basterebbe poco / soltanto qualche vocabolo, ma da dire con quella / sicurezza / come madre padre figlio / e la parola casa come una parentesi che chiude / la parola noi)

Amos Mattio
(Un vizio di sistema, un difetto / di fabbricazione: le misure / sono adulterate, la poltiglia / sul fondo un incidente, / da passare al setaccio, mentre scende / altra fuliggine confusa / sul piano inclinato, su un paesaggio / plasmato da un peccato originale)

Domenico Cipriano
(Quanti luoghi approfittano di noi / a quanti oggetti dobbiamo dare conto / dei nostri pensieri, azioni superate / tormentate dai ricordi, luoghi / azioni, oggetti, situazioni svegliano / il tremore: giorni ancora (e notti) / quanti (quante). Tocca la pelle / ruvide poltrone del cinema / segna l’ora il ciondolo dimenticato, / solo il cassetto aperto sempre / (il luogo da sempre calpestato) / mostra consuetudine e dimentica)

Alberto Toni
(Tutto deve andare avanti. / Ma poi noi non sappiamo / se l’illusione è verità. Allora scendo / e salgo fino alla prova e non per paura / e dolore, ma soltanto per conoscenza. / Vedrò tutti i colori insieme, soltanto / per un istante? Un vetro solo che separa, / esclude tutte le immagini più volte ripetute)

Giancarlo Pontiggia
(I segni che volarono, un giorno, fino a noi / e ci colpirono; le cose / che già erano prima di noi, / e restano, quasi immortali, dopo; / tutto ciò che s’impadronì dei nostri occhi / e fece vela verso il cuore, navigando / per scogli di pensieri improvvisi, di immagini / celate, inaccessibili)

Roberto Cescon
(La distanza del diventare è vivere / o scrivere tutti quei passi / e, mentre ti volti,già sei entrato / in un destino, come i mughetti / che fanno profumi senza saperlo. / E allora far la pace con gli anni / basta solo ricordarsi e sperare / con le immagini che sanno qualcosa)

Matteo Bianchi
(Sei di fatto a casa tua / e io di fatto a casa mia. / Di fatto siamo soli, / ognuno col suo se. / L’estrema coerenza del caos / sia fuori, sia dentro di me)

Sandro Pecchiari
(Le due tazze vicine, due bicchieri, / la caffettiera lustra e le posate / ormai asciutte nello scolapiatti, / nella casa in silenzio da quel giorno)

Omar Ghiani
(Un falco va all’alveolo/ del fulmine – energia di centrale./ Dopo plana in uno spazio puro non lontano./ Lì non è più dove umanamente/ il senso lascia la morsa assiepandosi./ Foresta se così si può chiamare,/ vita gonfia di risposte./ Però un falco va all’alveolo/ del fulmine)

Claudio Damiani
(Così la strada ancora va, una volta, / e ancora andrà, per sempre. / In alcuni punti è franata, non importa, / si crea un sentiero più piccolo / che ricollega i punti. / Così la strada va fra le pietre, sola, / e sembra quasi scolpita / da uno scalpello attento, / e come una statua sta ferma/ e ti guarda stupita. / E prima di una curva ha un’espressione / e dopo la curva un’altra)

Andrea Ponso
(Componi il chiaro cordone al mattino la linea / vera che scopre le vene contorte alla mano / mentre pesa in un palmo ciò che dopo l’assedio / saremo: solo sudore, segnatura di sale. / E’ che non voglio morire tra queste pagine inferme, / arso come oscuro incisore, per amore / del proprio strumento finale: qui soffoco / al chiaro di un pomeriggio agostano / vissuto tra righe d’inverno profondo, lingua / che scotta tra l’inguine e il niente infuocato / del giorno)

Alessandro Fo
(Questo finchè, una notte, / dissipandosi gli incubi, mi parve / che, sollevato il cofano al mio seno, / qualcuno fosse lì a operare / (un innesto, / forse, da un altro seno), quasi come / se riparasse un malmesso scassone: / e riaccese la gioia)

Mario Santagostini
(Ci si ritrovava al bar / all’aperto tra la Breda e via Metauro. / Chi giocava al pallone / contro il muro, o stanava serpi, / o andava per cicute / tra le rotaie dismesse e senza traversine. / Provato come tutti dalla noia / una specie di reduce / esibiva il suo mancinismo / smodato, mi diceva – Tu, / che farai almeno / un miracolo, prima di morire)

Lello Voce
(ma una voce è soltanto una voce un’atroce particola di corpo / che lanci addosso agli altri che ti si appiccica alle orecchie una voce / è soltanto una croce di sangue graffiata sul timpano fulminato / stando di lato, in disparte, a perdifiato)

Matteo Fantuzzi
(Caro Enrico, spero tu stia bene. / Qua le cose vanno fino a un certo punto / e poi si fermano. Tu non crederesti a quello / che accaduto in questi giorni / e non ti parlo solo del partito. Le cose / non si sono ricucite ovunque, qua si cambia / per non cambiare niente e nelle stanze buie / se ne stanno ancora tutti quanti)

Giacomo Vit
(“Più freddo di così è impossibile!” fa Bepi, / lui che non andrà in guerra in Russia. / E il mago, con un alito di vino / inacidito: “Sarà un ghiaccio che / camminerà dentro di ognuno… non / avrai alcuno schioppo per sbarrare / la strada all’esercito del destino…” / E poi, gli occhi del mago si fanno / scuri come finestre chiuse, e sopra / le sue palpebre si vedono / treni sbudellati, stazioni / incendiate, banche con sparpagliati / corpi, libertà cancellate…)

Tomaso Pieragnolo
(Mi stanco di svegliarmi, / la luce mi ferisce quando non voglio vedere. / Il viaggio ad Itaca nulla mi offre. / Se avessi almeno un poco di vino / per ubriacare i giorni che ci restano / ubriacare i giorni che ci restano / che ci restano)

Christian Sinicco
(entra nel pantheon senza volta, a Spalato / il cuore sono le cicale / e una canzone d’amore, una chanson / sola come te, è la ragazza che poi ti servirà al belvedere / sotto San Nicola, la chiesa tra i pini / vicina allo zoo, ai cicalecci e a tutte le botaniche / di un palo, una bandiera e una vedetta)

 

Ma la lista potrebbe veramente allungarsi di molto (tra gli altri che inserirei, sempre in accordo col criterio succitato: Franco Buffoni, Maurizio Cucchi, Elio Pecora, Gabriella Musetti, Isabella Vincentini, Antonella Anedda, Mario Benedetti, Chandra Livia Candiani, Silvio Ramat, poi potrei addirittura mettere me stesso dato che indiscutibilmente mi conosco e ho pubblicato qualcosa anch’io – ma per le mie cose rimando all’articolo Il colore dell’acqua che fa anche un po’ il punto della situazione sul dibattito) fino a scoprire che il criterio stesso non è esaustivo per concetto. Come altri criteri che ho tentato di presentare. Fino a chiedersi (almeno io me lo chiedo) se ha senso cercare la definizione di poeta (con la sua conseguente mappatura) se poi il terreno sotto ai piedi è così instabile. Con questo non voglio ovviamente criticare le mappature di cui sopra o i vari discorsi sulla poesia di questi giorni che, se raccolti in volume, daranno un’ottima fotografia dello stato della poesia contemporanea. Solo continuo a pensare che la poesia sia una cosa che nessuno si aspetta, e che forse ci è un po’ sfuggita di mano, e che più che mai necessita di punti di riferimento e criteri.

Per questo fa bene, fa molto bene, Di Stefano a dire che gli editori sono eroici (anche se non mi sarebbe dispiaciuto leggere il nome della Samuele Editore e di certi altri miei colleghi nella lista proposta), perchè pur in mancanza di punti di riferimento tentano dei riconoscimenti e delle selezioni. Propongono direttive, strade, che forse hanno molto più senso delle mappature. Sempre ricordando il vecchio adagio che vuole sia il tempo, e solo il tempo, a dire chi è veramente poeta. Chi è tra quei tre o quattro poeti di Moravia.

 
 
 
 
 
 
 
 

8 pensieri su “Evviva la Poesia è vegana!

  1. ben impostato Samuele! e meritorio il tuo lavoro, è che la carte stentano a mescolarsi, perché si ritengono interessi separati forse, da arca di Noè e non un bene comune. Chi lo sa ? Maria Pia Quintavalla

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  2. I tentativi di definire la poesia, con mappature, codici, codificazioni e altro, servono a selezionare e scartare il ‘non adatto’? Le regole dettate da un gruppo, valgono per quel gruppo, altri riselezionano e rimescolano limiti e caratteristiche. Ma alla fine, per comodità forse, i poeti selezionati sono solo alcuni già noti. Manca lo sforzo di ricercare un nome fuori dalla cerchia. Chi sgomita e si insinua nelle conoscenze si fa notare, ma altri meno intraprendenti restano esclusi da ogni selezione. Si può ipotizzare più attenzione e meno corporazione? an ma

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  3. Gli articoli sulla presunta morte della poesia sono esplosi in ogni sito e pagine culturali in seguito alla sentenza, di comodo, della Mondadori. Interessante anche questo punto di vista Alessandro. Per curiosità verifico la disponibilità di Samuele Editore. Saluti

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