In questi giorni si stanno rincorrendo un po’ ovunque voci e articoli sulla presunta chiusura della Collana di Poesia di Mondadori e della conclusione della collaborazione di Antonio Riccardi con la nota Casa Editrice. Chiarisco subito al lettore che uso appositamente i termini presunta chiusura perchè questa è l’Italia: una grande nazione fondata su grandi proclami che il giorno dopo vengono dimenticati con buona pace del principio di coerenza. Ha fatto scuola in questo, per rimanere nell’ambito dell’Editoria, il pur ottimo Crocetti, che diverse volte ha dichiarato chiusura della Rivista restando in qualche modo sempre in piedi.
Ma il proclama serve anche a questo, a dare nuova linfa a un qualcosa che si sta spegnendo, o addormentando, e se funziona significa giocoforza che tante persone danno modo a questa metodologia di funzionare, e di essere nuovamente usufruibile in caso di bisogno. Quindi la Collana di Poesia di Mondadori chiude? Forse, vedremo. Può essere possibile, ma ne riparliamo fra un po’.
La questione che piuttosto meraviglia, o mi meraviglia, non è tanto la chiusura della succitata Collana quanto il rumore che si viene a creare. Facciamo un po’ due ragionamenti:
1) Mondadori, come tutti gli Editori, piaccia o non piaccia è un imprenditore che deve sottostare a delle regole di mercato. Se vende va avanti, se non vende non va avanti. Credo inoltre non serva spiegare che il fallimento di una Collana non implica necessariamente una mancanza di qualità della stessa (anche se non la esclude)
2) la collana è di Poesia, quindi posto che a Mondadori non sono di certo imbecilli, sono pienamente consapevoli che carmina non dant panem. Ma questo non è ovviamente un problema nel momento in cui la Poesia vive grazie alle entrate delle altre Collane e ha la sua giustificazione nel prestigio che, a fronte di un buon lavoro, porta. Ovviamente se si arriva a parlare di chiusura vuol dire che non solo carmina non dant panem, ma nemmeno le briciole
3) scandalizzarsi che una Collana Editoriale chiude è un po’ come non dar da mangiare al proprio gatto e poi chiedersi perchè muore. Certo è molto facile prendersela con le scelte editoriali e forse, come molti dicono, questo potrebbe essere il caso. Ma dobbiamo anche contestualizzare il dato: è sotto gli occhi di tutti che l’Editoria di Poesia agonizza non solo nei tavoli mondadoriani, ma da quelli del microeditore a quelli del grande. Nel senso che non è solo Mondadori a non vendere, ma tutti. Per cui non mi lancerei in accuse specifiche all’Editore (che ci sia o non ci sia un fondo di verità, non è questo il punto) quando il dato è molto più ampio e palesemente slegato dalle scelte del singolo caso specifico. Il punto principale è sempre e solo uno, che tutti sappiamo: a prescindere dall’Editore, dal libro, la gente non compra. La storia del padrone che non dà da mangiare al gatto e poi si lamenta che muore.
Ovviamente i punti di cui sopra possono ben essere attaccati e criticati, come ogni cosa lo può essere. Soprattutto il punto 2 immagino avrà come reazione del lettore il ricordare a chi scrive che Livia Chandra Candiani ha venduto quasi 5 mila copie del suo ultimo edito Einaudi (dato reale). Quasi 5 mila, non poche a fronte di una tiratura media per i libri del settore di 2 mila copie (fonte glistatigenerali.com). Ma in realtà la questione sostanziale non cambia, e come vuole il buon vecchio adagio siamo di fronte all’eccezione che conferma la regola. E parlo di eccezione perchè personalmente non posso e non voglio credere che la poesia che funziona, che è vendibile, sia solo quella di Chandra (senza nulla togliere alla bellezza del suo verso). Di poeti bravi ce ne sono, nascono, crescono, maturano e vengono pubblicati. Ma puntualmente vendono pochissime copie. E come nel caso delle accuse alle scelte editoriali anche qui non mancano quanti accusano i poeti stessi (Berardinelli) con le conseguenti risposte di difesa (Gilda Policastro).
Per capire il fenomeno dell’Editoria di Poesia (che per il 95% è piccola Editoria) bisogna innanzitutto prendere atto di un’usanza che oggi viene generalmente accettata e soprattutto viene accuratamente e coscienziosamente utilizzata: l’Editore di Poesia chiede un contributo all’Autore. Anche in questo caso non mancano quanti si scandalizzano (personalmente chiedo sempre a queste persone quanti libri di Poesia hanno comprato nell’ultimo anno, e le risposte sono sempre molto prevedibili). La realtà è che sapendo che non si venderanno copie, o che per vendere 100 euro di copie l’Editore dovrà spendere 200 euro di evento, è necessario in qualche modo ripensare l’Editoria. E questo è stato fatto. Si è cioè preso ciò che in passato era considerato un iter fraudolento e lo si è trasformato in una vendita di servizi che oggi funziona. Perchè l’Editoria di Poesia in qualche modo sopravvive e negli ultimi anni è diventata sinonimo di qualità. Certo non mancano gli Editori che pubblicano gratis, ma sono statisticamente una minoranza assoluta e anche nella loro minoranza hanno spesso differenziazioni importanti (alcuni pagano altri no) o gravi lacune del servizio (zero promozione, mancanza di copie).
Il contributo autoriale legato all’esistenza di un’Editoria di qualità è in realtà il compromesso che cerca le briciole nonostante il carmina non dant panem, che come detto prima non è solo di Mondadori. Ovviamente però fa molto più rumore un Mondadori che chiude la Collana piuttosto che un piccolo Editore che chiude l’attività (con la conseguente semplificazione che vuole la chiusura mondadoriana sintomo della presunta crisi della Poesia, che poi a ben vedere appare più come una giustificazione che però nessuno ha chiesto). In buona sostanza quello che sto cercando di spiegare è che l’esistenza stessa di un’Editoria di qualità basata sul contributo autoriale è il sintomo della medesima malattia che porta Mondadori a chiudere una Collana storica. Parlo proprio di malattia perchè quando un Paese che ha dato al mondo i più grandi Poeti della Storia svilisce così tanto questa Materia svuotandola di significato sociale (perchè se non viene comprata nemmeno a livello di briciole significa che non è percepita come necessaria), strumentalizzandola a fini politici (nel senso di portatrice di visibilità, si vede cosa succede ai Festival, ai Premi), ecco allora che quel Paese non dovrebbe lamentarsi dei pezzettini che perde per strada.
Ma come ho già detto l’Italia è l’Italia, il bel Paese che però ha sempre bisogno di colpevoli altri. E i colpevoli, come si sa, non è mai difficile trovarli. Soprattutto qui, in una cultura fondamentale provinciale e cieca, fatta di isole autoreferenziali. Perchè poi non si può nemmeno dar torto a quanti accusano le pubblicazioni di amici di amici o le varie inclusioni abituali (e le altrettanto varie esclusioni). Tutto questo è vero, ma non è solo questo il male, anche se è più facile e comodo da additare.
Uscendo dall’Italia sappiamo ad esempio che il contributo autoriale è molto meno usato. Uscendo dall’Italia abbiamo contributi statali per la pubblicazione dei libri, abbiamo programmi universitari per la traduzione. Ovviamente non parliamo di un’Italia cattiva e di un resto del mondo buono ma sicuramente alcune differenze ci sono, e sono importanti. Come un’altra opinione che personalmente ho della Penisola è di un Paese che considera le spese militari (palesemente ridicole, non serve ricordare l’acquisto degli ultimi aerei) come necessarie e le spese per la cultura come opzionali, tagliabili. Ripeto all’estero ci sono programmi e sponsorizzazioni anche statali, in Italia hanno fin tolto il piego di libri per Editori (una convenzione speciale tolta per fare uno sgambetto politico a determinate riviste appunto politiche, che poi però ha pagato tutta l’Editoria trovandosi i costi di invio dei libri raddoppiati).
Che la collana di Poesia di Mondadori chiuda forse è vero, forse no. Come forse è vero che il problema è la chiusura e l’autoreferenzialismo delle scelte editoriali. E forse è vero anche, in una certa misura, che mancano i poeti vendibili (che di fronte al qui già troppe volte citato carmina non dant panem è tutto dire). Personalmente però continuo a credere che tutte queste giustificazioni siano solo nasi che colano, il raffreddore è altro. È la cultura italiana che non considera più la Poesia come una testimonianza del tempo, sia che si parli del lettore/acquirente sia che si parli del poeta (con le dovute eccezioni) o dell’Editore. Perchè in fondo sappiamo che la domanda è nato prima l’uovo o la gallina è fondamentalmente un paradosso, per cui chi propone titoli scarsi non è di fatto responsabile della mancanza della domanda di buoni titoli, e chi non chiede la pubblicazione dei buoni titoli (non comprandoli dove escono) non è di fatto responsabile dell’uscita dei titoli non di qualità. Il paradosso vuole che non esista una causa/effetto diretta, ma che ci sia una comune corresponsabilità.
È la cultura/raffreddore generale che crea i vari nasi che colano e ai quali ci fa comodo dare la colpa di tutto, per evitare l’autocritica.
finalmente qualcuno che dice le cose come stanno!
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«Per capire il fenomeno dell’Editoria di Poesia (che per il 95% è piccola Editoria) bisogna innanzitutto prendere atto di un’usanza che oggi viene generalmente accettata e soprattutto viene accuratamente e coscienziosamente utilizzata: l’Editore di Poesia chiede un contributo all’Autore. Anche in questo caso non mancano quanti si scandalizzano (personalmente chiedo sempre a queste persone quanti libri di Poesia hanno comprato nell’ultimo anno, e le risposte sono sempre molto prevedibili). La realtà è che sapendo che non si venderanno copie, o che per vendere 100 euro di copie l’Editore dovrà spendere 200 euro di evento, è necessario in qualche modo ripensare l’Editoria. E questo è stato fatto. Si è cioè preso ciò che in passato era considerato un iter fraudolento e lo si è trasformato in una vendita di servizi che oggi funziona. Perchè l’Editoria di Poesia in qualche modo sopravvive e negli ultimi anni è diventata sinonimo di qualità. Certo non mancano gli Editori che pubblicano gratis, ma sono statisticamente una minoranza assoluta e anche nella loro minoranza hanno spesso differenziazioni importanti (alcuni pagano altri no) o gravi lacune del servizio (zero promozione, mancanza di copie)».
Condivido al 101%. Purtroppo, con questo articolo, ti sei attirato l’odio delle centinaia di morti di fame che hanno scambiato il microeditore con il Banco dei Pegni o le Dame della Carità della (loro) cultura e fanno finta di non comprendere che, non appena la crisi avrà spazzato via ogni micro-editore (moderatamente ed equamente) a contributo finanziario (come dicono i suddetti morti di fame: EAP, senza distinzioni tra chi chiede 500€ e chi chiede 2.500€), resteranno solamente i grandi editori, disinteressati ai (loro) capolavori, e i micro-editori realmente farabutti, che chiedono 2.500€ a plaquette di 30 pagine. Così, i suddetti, saranno in grado di tornare a scrivere sulla carta igienica, come meritano. Peccato: i fallimenti, i dipendenti e i collaboratori licenziati, la catena di chiusure (dalle tipografie, ai distributori, agli spedizionieri, alle librerie). Questi diffusi morti di fame, di economia, non capiscono niente: capiscono solamente l’economia del (loro) conto in banca. Tanto, fallito un microeditore, salteranno, come zecche, a succhiar sangue, su un altro sventurato microeditore, e così via. Perché, si sa, tutti i micro-editori sono milionari, con Porsche e casa alle Canarie.
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Il problema non è il fatto che la collana Mondadori chiuda o meno, ma il commento assurdo di Berardinelli che sostiene esserne la causa la mancanza di poeti pubblicabili. E’ risaputo che da tempo la grossa editoria sceglie i pochi poeti da pubblicare secondo criteri che non riguardano affatto il testo, ma solo il “ruolo” di quell’autore; ciò che può portare come ritorno alla casa editrice. Quanto poi alla piccola editoria, è assolutamente giusto dire che deve selezionare (e il più possibile), ma qualsiasi operazione di questo tipo non potrà mai coprirsi (realizzando poi distribuzione, servizi stampa, ecc.) solo con le vendite…chi sostiene questo non conosce la reale situazione. Perciò un intervento di sponsor o un minimo acquisto copie sono soluzioni necessarie, inevitabilmente, se la sigla vuole anche solo sopravvivere.
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Salve. Ho letto con attenzione e non so come mai in tutto il testo non trovo nulla di realmente freddo o caldo, mi pare un poco tiepido, spero che non sia una offesa. E’ solo la mia impressione. Mi piace e molto il commento di Andrea Rompianesi. Forse manca qualcosa: La volontà (di chi?) rompere uno schema culturale che qualcuno (chi?) ha voluto imporre in Italia per la poesia? Forma poetica e modalità espressiva non sono forse imposte da quei pochi “baronetti” della poesia italiana che si rimpallano l’un l’altro le lodi (critici inclusi)? Forse i lettori hanno voglia di altro, io ne ho voglia. Proprio oggi sono passato davanti al reparto poesia della Feltrinelli dove ho trovato, ormai con disgusto, i soliti titoli, i soliti autori, i soliti editori. Ma a questo non hanno pensato i grandi editori? Che forse il lettore vuole altro? E sto parlando di lettori esperti, come un poco anch’io mi reputo, senza falsa modestia, dopo anni e anni che leggo (compro) poesia italiana e straniera. Forse era più importante mantenere l’élite nel Parnaso? Anziché aprire le porte al popolo dei poeti che esiste? Forse dicevano: “Degli altri che cosa ci importa? abbiamo i soldi per pubblicare noi stessi…” Però adesso sono implosi perché i lettori non sono deficienti.
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