Il fico sulla fortezza – Claudio Damiani

damiani

Claudio Damiani è uno dei nomi che in questi ultimi anni si sta affermando con forza sempre crescente all’interno del panorama poetico italiano. Un nome particolare, gentile (ne avevo già parlato qui), che soprattutto in questo Il fico sulla fortezza (Fazi Editore 2012) incide la sua voce nelle piccole cose memoriali e naturali che compongono non solo la natura, ma il mondo intero.

Un mondo che può essere la strada quanto la bellezza non rifatta di una ragazza, che in quanto tale rappresenta una componente essenziale di quella stessa natura che dà titolo e motivo al libro. Il fico citato è infatti il fico che cresce sulle rovine della fortezza, emblema e geroglifico del nuovo libro di Claudio Damiani, ha i giorni contati. Verrà qualcuno a restaurare gli spalti del diroccato maniero aristocratico dove cresce, sradicando quella forma divita abusiva, vita incurante della sua propria bellezza, capace di assentire al suo destino senza opporgli un’assurda resistenza. Dall’albero il poeta ricava l’insegnamento supremo: è possibile amare la vita senza avvelenarla con la paura della morte. È possibile, dunque, la felicità, quella pura e gratuita vibrazione dell’essere qui, dell’esserci ora, minuscolo filo saldamente intrecciato all’arazzo del cosmo? (dalla nota di Emanuela Trevi)

Una natura che porta un messaggio particolare, di particolare incisività: la bellezza esiste. Nelle poesie di Claudio Damiani c’è la scoperta di un’armonia del tutto che dice pace, felicità. Una bellezza che oltre ogni canone estetico transeunte si identifica più in una possibilità. Possibilità nella quale l’uomo può ritrovarsi a pieno titolo: Quando un bambino vede un gatto / o una farfalla, per la prima volta, fateci caso: / è come se non la vedesse per la prima volta / o, se fosse sorpreso, fosse la sorpresa / non di un vedere ma di un rivedere, / non di un trovare ma di un ritrovare.

Potrebbe quasi venire voglia di riconoscere in questi testi certa filosofia antica, quella appunto che proclamava la conoscenza un ricordare e quella che cercava l’origine del tutto in un archè. Il riferimento alla filosofia greca, pur essendo probabilmente più del lettore che dell’autore, dà comunque un buon strumento per spiegare cos’è la gentilezza e cos’è la bellezza in questo libro: Si disse anche che la musica ingentilisce / e che la gentilezza è la cosa più importante, / non la felicità, la ricchezza o la fama, il potere / ma la gentilezza era il traguardo di ognuno . E ancora Serviamo a qualcosa? A qualcuno? / e soprattutto: se la bellezza già così sovrabbonda / nel nostro mondo che sei disorientato /e come un’ape ubriaca ti muovi, / quanta bellezza deve esserci nell’universo / da far venire i brividi? Gentilezza e bellezza sono a tutti gli effetti due facce della medesima medaglia, come nella celebre formula einsteiniana lo sono la materia e l’energia, e rappresentano quel punto d’origine (l’archè) e d’approdo continuo che sono per l’uomo la possibilità d’essere felice.

Una felicità reale, senza grosse complicazioni esistenziali, una felicità tutto sommato semplice e alla portata di tutti perchè pulita e naturale, priva delle falsificazioni umane (come il seno non rifatto lo è per la ragazza descritta in una delle poesie più belle del libro). Una felicità non cercata ma espressa da Claudio con la medesima immediatezza e chiarezza che sono le caratteristiche fondamentali della natura. Perchè la bellezza è lì, luminosa e palese, a portata di mano, priva di ombre scure. Così la forma della poesia acquisisce la medesima luminosità e chiarezza, fugge le oscurità, dice semplicemente quanto è già alla vista di tutti: Cara poesia, se tu vuoi venire vieni, / se non vuoi venire non vieni, / fa’ come fossi a casa tua, / con me devi fare così; / […] non posso non respirare i tuoi colori / che ti circondano, come vestiti / sempre diversi, / e sentire l’odore delle tue piante, e della tua terra, / e con la mano sentire calda / la tua pietra, come la testa d’un bimbo.

Una semplicità che, come la gentilezza e la bellezza di Claudio Damiani, ha comunque intrinseca una sua percentuale di scandalo, che probabilmente rappresenta e giustifica il successo di questa poesia (tra i premi vinti da Claudio ricordiamo il Metauro, il Montale, il Laurentum, il Camaiore, il Bellezza, il Luzi, e una volta finalista al Viareggio). Perchè parlare oggi di una felicità possibile che ha in sé la bellezza del mondo e descrive la chiave per cogliere questa bellezza attraverso il concetto di gentilezza, è inevitabilmente uno scandalo per la sua inattualità. Che a ben vedere è inattualità del mondo e non del poeta e tantomeno della sua poesia.

Ma anche questa in fondo è l’opera fondamentale della poesia, la sua mission: non un vedere ma un rivedere, non un trovare ma un ritrovare.

 
 
 
 
Così la strada ancora va, una volta,
e ancora andrà, per sempre.
In alcuni punti è franata, non importa,
si crea un sentiero più piccolo
che ricollega i punti.
Così la strada va fra le pietre, sola,
e sembra quasi scolpita
da uno scalpello attento,
e come una statua sta ferma
e ti guarda stupita.
E prima di una curva ha un’espressione
e dopo la curva un’altra.
 
 
 
 
 
 
«Sono contenta di vederti» «Anch’io.
Camminare sulla tua via è rinascere
e tra le tue braccia non posso sbagliare strada»
«Guarda queste pietre, ti piacciono?»
«Queste pietre sono bellissime, ognuna
è stata scolpita da uno scultore famoso»
«Guarda i miei piedi, ti piacciono?»
«I tuoi piedi sono così bianchi
che, a guardarli, ho paura per i miei occhi».
«Guarda, come mi sta
questa veste di vitalba?».
 
 
 
 
 
 
Il fico sulla fortezza
ha vita molto precaria
perchè quando faranno i restauri
sarà certamente tagliato.
Però sta tranquillo sotto la luce del sole
distendendo il suo ampio mantello
disuguale, incurante dell’estetica,
se ne frega di stare così in alto
non soffre di vertigini
si lascia accarezzare
dalla luce e dalle brezze tiepide
sente la nebbia, sente gli uccelli
che parlottano tra i suoi rami.
 
 
 
 
 
 
Tesoro, noi adesso siamo qui
ma quando c’erano i trilobiti
e non c’erano ancora gli uomini
non c’erano ancora i mammiferi
nemmeno
possibile, mi chiedo, è possibile
che noi non c’eravamo?
 
 
 
 
 
 
Le belle vip, le supermodelle o veline
attrici, miss e presentatrici varie
hanno dovuto condizionare la loro bellezza
al gusto volgare del pubblico
e alle caratteristiche delle macchine
da presa per migliorare la fotogenicità,
la tua bellezza è libera, se n’è fregata,
avevi un seno piccolo e non l’hai gonfiato come le altre,
la linea delle labbra era perfetta
e l’hai lasciata come mamma l’ha fatta,
hai riflettuto, hai studiato,
hai conosciuto la via, l’hai percorsa,
per questo tu le superi tutte
e nessuna è bella come te,
per questo cammini con gli angeli
che ti guardano con una piccola invidia.
 
 
 
 
 
 
Si avvicina la tempesta. Chiudo le finestre.
I miei piccoli mi si avvicinano
come i piccoli degli uccelli
alla mamma.
Meno male che siamo in casa.
Venite qua, dico loro,
stiamo tranquilli, lasciamola sfogare
poi quando si sarà sfogata per bene
passerà, e ritornerà il sereno.
Non affrontate l’elemento,
figli, ma lasciatelo sfogare
con se stesso, infatti ogni tempesta
prima o poi passa, e non trovarsi in altomare
quando lei infuria, questo è sapienza.
 
 
 
 
 
 
La finestra dell’alba aveva un orto
appetto e dietro le siepi dei fichi
d’India e gli ulivi e ancora dietro il mare
tenero e azzurro, e i campi piatti e il monte
piatto e lunghissimo e il cielo lunghissimo
anche. Di notte mi cullava il dolce
fruscio degli alberi e l’aria odorata
marina, e come dal balcone usciva
l’alba rosata subito m’alzavo
e lesto uscivo e il mio primo pensiero
erano le galline, se mai un uovo
nuovo trovassi nel pollaio, o il cane
Tamara mi seguisse o per le vie
in bicicletta felice vagare.
 
 
 
 
 
 
E adesso anche tu, avendo io dimenticato,
sei ritornata nuda, all’inizio.
Sciogli nell’aria i tuoi capelli d’oro
e anche tu sei dimentica.
Mi piace guardarti senza averti conosciuto,
senza riconoscerti.
Mi piace guardarti mentre ti addormenti sull’erba
e cammini sui viali.
Mi piace, quando viene la sera,
vedere che diventa bruno il tuo viso
e i tuoi occhi risplendono.
 
 
 
 
 
 
Ogni tuo passo è un passo
verso una gioia quieta.
Tu non aspetti, io non aspetto.
Tu non sei più giovane, piena di speranza,
ma hai raccolto i remi, hai ammainato le vele,
ti lasci dondolare dalla brezza
e vai alla deriva felice.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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