Rêverie – Umberto Piersanti

urbino

Umberto Piersanti è uno dei maggiori poeti italiani a pieno titolo e ragione riconosciuti. Di una generazione che può già essere definita in qualche modo classica, a fronte delle tendenze poetiche contemporanee. Oltre ogni facile soluzione e al di là delle diversissime correnti letterarie che hanno costellato il novecento, Piersanti ha saputo fin dai primi testi (ne avevo già parlato qui) creare quell’elemento fondante e fondamentale che è il vero punto di crisi dei poeti della mia generazione e non solo. Piersanti ha creato una poetica, una filosofia umana detta in versi che è la sua mitologia privata, poggiata su simboli, principi, elementi ricorrenti e mai abbandonati. Perchè quando si parla di un poeta, nello specifico classico in quest’accezione che può anche voler dire contemporaneo (come lo era stato Montale), ci si chiede sempre cosa ha questo poeta da dire, qual è il suo messaggio.

Il messaggio di Piersanti (come bene esemplificano questi due testi che suppongo inediti che Umberto stesso mi ha squisitamente inviato) affonda le sue parole dentro il tempo, la natura come luogo e la natura come riscontro della memoria, la memoria stessa, il dopo che quasi può essere definito non come un sopravvivere ma come un continuare a vivere. Una vita comunque amata pur nella sua durezza perchè Piersanti è e resta sempre un poeta del dolore. Non a caso la natura è il suo luogo privilegiato per delineare l’archetipo umano, perchè la natura è bellezza e dolore in una medesima coesistenza, in una interdipendenza armonica, necessaria, piena di senso. Quel senso che spesso manca agli uomini e alla loro Storia. E soprattutto la natura è l’elemento per eccellenza che continua nonostante le vicende, che esiste a prescindere, che continua a vivere.

Da questo emerge l’amore per la vita di Piersanti, questo raro amore che accoglie il dolore, l’essere transeunte delle cose, l’attaccamento alla memoria, e che diventa un verso denso e misurato d’emozione.

 
 
 
 
Rêverie
 
 
in fondo, tra gli ulivi
inizia il mare,
sempre più negli anni
ti c’avvicini
pensi e lo guardi
dalla casa nuova,
dal letto dove il piede
ti costringe,
la fascia che ti serra
braccia e mano,
lontana la stagione
che balena,
pallida più d’un sogno
agli occhi stanchi
 
nelle Feste Meste
getti il grembiule
che d’inchiostro odora,
di gesso e gomma
e quel colletto bianco
che ti cinge,
così vai agghindato
ogni mattino,
e con la madre sali
la corriera,
il lunghissimo viaggio
che t’attende,
alla Torre si scende
e si cammina
tra i campi più vasti
e reclinati,
alla casa nel fosso
bisogna andare,
dove Urbino è distante,
così distante
che non solo non vedi,
ma da che parte stia
non indovini
 
e c’erano i cugini
tra le viti
e pochi raspi
a vendemmia finita
da fregare ai passeri
e succhiare,
quel sole così caldo
anche se fioco
ch’apre il guscio alle noci
e apre i fichi,
le mele dappertutto
tra l’erba spagna
dove l’ultima biscia
si rintana
 
tra le figure lievi
come in sogno,
avanzano due buoi
nitidi e incisi,
fumano dalle narici
come li ho visti
a scuola, nei disegni
alle pareti,
e dietro c’è chi zappa
e chi raccoglie
i grugni e le altre erbe
da mangiare
 
dopo tutto s’imbianca
e trascolora,
è un vento che non sai
da dove viene
e cancella e porta via
ogni figura,
anche il respiro
di quei forti buoi
che entra dentro l’aria
e si dissolve
 
forse c’è un luogo
dove il vento le posa,
dove rimane incisa
ogni figura,
dove non c’è gesto
e respiro che si perda,
un luogo che sia sbarrato
al tempo per l’eterno
 
di carne e d’erbe
lo vorrei impastato,
ma sono solo d’aria
le figure
e solo l’aria
il tempo non dissolve
 
 
Novembre 2012
 
 
 
 
 
 
Bocche di lupo
 
 
bocche di lupo d’una volta
e mi saluti
e m’alzi sopra le spalle,
il tuo giovane volto
no, non ricordo,
ma il tuo sorriso magro,
quegli occhi un po’ velati
ce li ho dentro,
padre che parti
per le fiamme e i massi
e le acque attraversi,
ai suoi confini
siede la terra
remota
che la madre ha visto
così remota, là in fondo,
solo una volta,
dal monte della Conserva
sulla Cesana alta
 
sono le donne tristi,
ma io rido,
piego la bustina
e non capisco il pianto,
c’è un’aria così chiara,
una ragazza canta,
narra di rosse rose
come quelle dell’orto,
ci lavorava il padre
con le sue forbici lunghe
 
dopo quel giorno
solo un altro ricordo,
venne un fischio dal cielo,
noi dentro la filanda
serrata, nera e spessa
con gli occhi fissi a terra
a piangere e pregare
 
quando cessa l’allarme
siamo usciti all’aria,
confuso poi giungo
alla muraglia,
la madre mi prepara
il seggiolino, largo,
di vimini intrecciati,
tante bocche di lupo
e così fitte,
coprono la Fortezza tutta quanta,
fanno l’aria lieta,
mai più nel cielo
ho visto tanta luce,
narrano voci attorno
di chi muore,
chi muore laggiù al fronte
chi nelle case
 
ah! le bocche di lupo
chiare e infinite,
infiniti colori dentro l’aria,
t’entrano dentro il sangue
giù tra le vene,
è quel fischio dissolto
così atroce
 
 
Agosto 2011
 
 
 
 
 
 
 
 

2 pensieri su “Rêverie – Umberto Piersanti

Lascia un commento