Una recensione al Condominio di Antonio Lillo

Forse faccio ingiustizia all’ultimo libro di Alessandro Canzian, Il condominio S.I.M. (edito da stampa2009 con prefazione di Maurizio Cucchi) ma, per esperienze personali, ogni volta che ne leggo il titolo tendo sempre ad assimilare quel S.I.M. (Società Immobiliare Maniaghese) a C.I.M., vecchia sigla che indicava i centri di aggregazioni per persone con disturbi psichici.
Non che è personaggi raccolti in questa piccola antologia di ritratti siano particolarmente folli, però l’azione che più spesso ritorna fra i capitoli, a parte quella implicita di osservare/sbirciare le azioni degli altri, creando un continuo stato di ansia nel lettore, è legata al gridare/urlare/sgridare e ascoltare queste urla attutite attraverso i muri. Né vengono nascosti i continui riferimenti alla sfera sensoriale dell’olfatto – fra escrementi e sangue, il continuo odore di pioggia, il marcire delle foglie – che legano il tutto a una dimensione ridotta, quasi ferina dell’uomo, dove la sopravvivenza la fa da padrone sull’idea stessa di vita, specie nelle scene di sesso o accoppiamento che hanno completamente sublimato qualsiasi rapporto amoroso. Si avverte dovunque un continuo senso di chiusura e di stanchezza, misto a una buona dose di inquietudine, di violenza repressa ma sempre pronta a esplodere nelle vite degli otto protagonisti, a cui deve si aggiungere quella della voce narrante, ennesimo condomino che non ha una vita propria da descrivere, ma si realizza nelle storie degli altri che osserva e racconta con partecipazione a tratti voyeuristica, a tratti intrisa di simpatia e pietà, ciò che più rasenta l’amicizia in queste pagine.
Rispetto a La ragazza Carla che pure viene tirata in ballo fra le pagine – anche se i maggiori contatti li ho trovati con la poesia di Giampiero Neri –, opera che mostrava una maggiore carica sarcastica, qui mi pare ci sia una più forte adesione al dato crudamente realistico, dalle tinte livide, a cominciare dalla scelta di una ambientazione assolutamente verosimile – non so quanto reale – segno della volontà di Canzian di attenersi a un discorso lineare, minimo, duro a volte ma di grande immediatezza espressiva, persino nella scelta di un verso piano e privo di orpelli, diretto, di forte aderenza visiva, spesso ficcante nella precisione con cui inquadra i particolari minimi di questi piccoli sketch intorno a vite consumate nella solitudine.

Antonio Lillo

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