La forza degli schiavi – William Stabile

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A questa postura esistenziale occorre sommare la formazione culturale del poeta italiano già residente in Cile: l’idea che gli oppressi, gli “schiavi” di ogni latitudine, abbiano ragioni e logiche ferree, un piano individuale e collettivo – per quanto inconsapevole – che è loro precluso, che siano insomma soggetti di un potenziale programma innovativo, capace di confrontarsi con il capitalismo dominante. A fondare questa ipotesi sta la convinzione che il popolo sia un ente sano, soprattutto quando esso si costituisce nella pluralità culturale, quando, come scrive Stabile in Contrappunti e Tre poesie Creole (Fara, 2006) sia connotato dalla “creolità” ossia da una natura che “esalta le differenze e si scontra con l’uniformità e la standardizzazione imperante”. La stessa cosa fa il poeta, ci dice altrove citando Alfonso Gatto, convinto che “la poesia appartenga agli uomini che non si difendono, che passano nella vita, lungo tutta la vita, senza appropriarsene, amandola anche per gli altri che credono di averla spesa o di poterla spendere senza mai riuscire nemmeno a destarla.”

Con queste parole Stefano Guglielmin introduce La forza degli schiavi di William Stabile (Dot.com Press 2016 – altro di Guglielmin si può leggere qui e qui). L’autore è nato a Milano nel 1973 e dal 1998 si è trasferito in Inghilterra dove ha lavorato in un’agenzia di stampa. Ha successivamente insegnato Lingua e Cultura Italiana in Bolivia. Come autore ha pubblicato su varie riviste e siti di poesia italiana e straniera ed è presente in alcune antologie di poeti contemporanei. Ha precedentemente pubblicato la raccolta di poesie Contrappunti e Tre Poesie Creole (Fara, 2006) e un suo contrappunto in inglese è stato inserito nell’ultimo libro del poeta irlandese William Wall Ghost Estate (2011). Un autore che ha quindi una visione pluriculturale (il mio amico e collega Antonio D’Alfonso direbbe plurilinguista) che tutta emerge nei suoi versi raccolti in poemetti snelli e incisivi, dove la relazione interno/esterno modula in maniera particolarmente interessante la velocità stessa dei toni.

Vi è infatti una musicalità complessa che segue il ritmo di un ragionamento precario ma stabilizzante (l’autore perdonerà il bruttissimo gioco di parole), dove l’essere precario non è penalizzante ma anzi un punto di partenza per un’analisi continua tra ciò che è il mondo e ciò che è l’uomo nel mondo. Con punte di efficacissima liricità: non c’è niente di nuovo / per l’uomo / sul fronte occidentale / le ragioni della polvere / consumano sempre nelle cose / è tutto sotto il cielo – e sopra / nulla / solo l’amore cambia […] cammelli accovacciati / sulle dune dei tuoi seni / altalene come / ludiche lingue / bagnano granelli / di pomice verso / l’oasi d’adamo / appesa al collo una collana / di pensieri perfetti / mi ricordavo di te […] (perché) / in fondo / il poeta / è il tuffatore / che si lancia / a decifrare il linguaggio / sull’onda / rivelatore.

Una poesia dell’esperienza della vita quella di Stabile che sottolinea, nell’accumulo di lentezze, riprese, tamburellamenti d’immagini che poi si solidificano in versi, un elemento fondamentale che Stabile (in maniera tra l’altro molto acuta) simboleggia con una &. Un legame, quasi una consequenzialità che nella vita lega uomini e relazioni, storie ed esistenze. E che fa ritornare nell’inside lo sguardo poetico per dei momenti di sospensione, di riflessione, possiamo immaginare di sedimentazione del mondo e possiamo parimenti immaginare che proprio in queste brecce al contrario si inscriva la poesia. Si dipinga, si viva. Non da ultimo come atto di riflessione civile.

 
 
 
 
Dr. Livingstone, I suppose!
 

In te ipso redi, in interiore homine habitat veritas
Sant’Agostino

 
 
well
yes I am
dear Stanley
 
io avevo una fissazione
per l’uomo &
mentre ti aspettavo
ho letto la bibbia 4 volte
& mentre leggevo
                   & leggevo
amavo osservare sulle rive
l’umana sofferenza
dentro le disgraziate
capanne negre
 
che orrore! Stanley
che orrore!
tutto era profonda
tenebra
 
finalmente ho
capito
 
la vita è sempre
un dono
e non va mai
sfidata
-come ho fatto io
Stanley
 
non c’è niente di nuovo
per l’uomo
sul fronte occidentale
le ragioni della polvere
consumano sempre nelle cose
è tutto sotto il cielo – e sopra
                   nulla
solo l’amore cambia
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
ero un parto scagliato
verso un mondo
in un arco una freccia
a cercare una traccia
prima che tu ci fossi
eravamo già tu & io
insieme – Signore
e tu senza saperlo
eri già tutto in me
presente in me
dentro di me
& io attratto
mi allontanavo da te
e costruivo per me
un’architettura di dolori
e tu preparavi per me
opere e missioni
la mia speranza
che gradualmente
diventava parola
con architravi forti
di essenza
ponevo fragili
colonne di pensieri
e così per mia gioia
ripagavo te
in una vita para bellum
mordendo
un odio largo
quanto un lago
del continente nero
 
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
io intesi ingenuo
che utilizzando la sinistra
avrei cambiato il mondo
ma tu -Signore
cambiasti me
mi indicasti la rotta
da funambolo
su soglie di luce
& segni & segnali
che scegliesti tu od io?
e venivi a me
con le tue idee
le mie
a partorire immagini
dal profondo
& ora tutt’ intorno
il mondo tuo
mi parla
la lucertola sul caldo asfalto
la buganvillea sul muro
ruvido
                   bianco di calce
emettono un senso
di estremo linguaggio
il muso caldo
nel concavo del ginocchio
lo sniffare sordo del cane
emaciato
                   africano
sull’uscio
misero della porta
fumante
l´anello di comprensione
finora mancante
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
ti chiedevo
                   mi dicesti
when you’re ready
you’ll find it
così ho attraversato il mondo
& spesso in questo mondo
mi son perso – Signore
cercando cercando
ma il mondo eri
tu & la mia casa
& nell’economia
dei sensi ritrovai
la rotta del dolore
che cessava
non era compito mio
cambiare
mi feci solo da parte
e lasciai che l’alfabeto
s’incagliasse
sul fondo mio
di fango
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
you know
the streets of London
are paved with gold
a quei tempi vivevamo
in Gloucester Road
col sole dritto in faccia
poi era venuto
monotono il freddo
delle siepi sui due lati
della strada
tutto era ordine e lustro
in UK ognuno curava
il suo orticello
& io non potevo
stare fisso alla forca
delle 7
non volli cedere
alla sconfitta pendolare
della cella del sudoku
ero ricercatore
urbano & africano
non impiegato
del verso capitale
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
& mi ritrovavo
camminando per le strade
ma stavo già viaggiando
osservando le persone
la domenica nei bar
ben vestiti passeggiare
& sapere
                   tutto ciò
non mi apparteneva
le case ben arredate
ed ordinate degli amici
in cui non potevo
essere partecipe
se non a metà
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
non potevo rischiare di
finire coi piedi sul parquet
più che produrre
reddito piacere mio
era produrre idee
e solcare sentieri
per nuovi cammini
e così decisi
non attraversai più il viola
del parco della vittoria
monopoli del mondo dove
uomini vili sbattono bilance
nelle tracce cercavo
una sintassi di parole
nei luoghi liquidi
esistevo
straniero alla mia
stessa terra
              mi compivo
nella favela dell’anima
nella dissenteria spirituale
nei posti dove strutturavi
la mia marginazione
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
& mi indicavi
come imparare ad essere niente
& intanto apprendevo
a nutrire paziente
la calma
& tu venivi a me
a salvarmi
dalla mens sana
in corporate sano
-Signore
quando anche dei libri
& della poesia
& delle sporche
scarpe di fango
era oramai
l’estremo ennui
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
& era “nulla die sine linea”
 
cosí sull’orlo
di questo letto
inizierò il mio verso
il più delle volte
ci si nutre di piccole cose
che poi si sommano a fiumi
parole affluenti
ed arriva il tuo verso
-oh Signore
ad estuario o a delta
preciso o confuso
in tempesta sull’acqua
parola
              -ciò non importa
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
non importa dove scorra l’alveo
se rompa gli argini
la traccia
è solo prendere la
feretra in mano &
scagliare frecce
al cielo che conta
– Signore
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
tutto contiene l’uomo
l’oro & il fango
              l’unico dono
è dopo tutto
              la forza degli schiavi
di ascoltare
              la forza degli schiavi
di rialzare la testa
              la forza degli schiavi
di guardare in volto
la bellezza &
              solo degli schiavi
di aprire
              sempre
le braccia
al prossimo
che ti si para
davanti
 
oh mio Signore
tu sei tan grande
grazie
 
perché tutto è
come deve essere
porterò ancora alta
nel vento
la bandiera bianca
 
della nostra rivoluzione
 
 
 
 
 
 

2 pensieri su “La forza degli schiavi – William Stabile

  1. Grazie Alessandro per questa tua nota che sonda alcuni temi della mia poesia. Rilke scriveva che la bellezza è l’inizio del tremendo. In questi anni di vita, letture e riflessioni mi sono reso convinto che- in questo mondo liquido , precario, creolo ma tremendo -dobbiamo guardare in faccia la bellezza dell’oggi senza nostalgie e forse descriverlo…attraverso le brecce di poesia.
    Con stima, William

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