La prima poesia che ho letto di Mehmet Yashin è stata I piedi. E devo ammettere d’essermene innamorato senza possibilità d’appello, senza via di scampo. Alessandro Bergonzoni, che pure non è un poeta ma ha scritto un bel libriccino di versi, ha intitolato il suo intervento al Festival della letteratura di Mantova di quest’anno: C’è poesia, poesia e poesia. Lettore che vuoi riconoscerti in quello che leggi, resta a casa. Questo è vero e non è vero, intendo il fatto che il lettore voglia riconoscersi in quello che legge. Anzi, personalmente considero una poesia più riuscita se il lettore trova condivisione con l’autore attraverso il testo, anche se è ovvio che non basta la condivisione ma è necessaria una successiva crescita del lettore sulla base del testo dell’autore.
La poesia I piedi di Mehmet Yashin mi dice e mi convince assolutamente di questo. I piedi della donna amata sono sempre un luogo mistico di bellezza e sacralità. Vi è un segreto, un mistero nei suoi piedi. Perchè sono radici dalle quali lei emerge fino ai capelli (che sono i petali del fiore che è, le foglie dell’albero della vita che rappresenta). Sono il punto di contatto con la terra (chi non ricorda il contrasto tra aspirazione alla vita religiosa e amore terreno di Petrarca). Non per nulla anche la religione, nello specifico cristiana, ha colto il significato dei piedi femminili piegandoli alla propria simbologia (la donna che schiaccia con un piede il serpente).
Anche la donna è sempre ben consapevole della potenza mistica e sensuale dei propri piedi. Una cara persona una volta mi ha detto che c’è un’arte nell’ondeggiare di una donna sui tacchi. Un’arte quasi da studiare, tanto è importante. Certo forse un’arte effimera, che passa col passare della donna, ma come Kundera bene ha espresso ne L’immortalità ci sono gesti che tornando costanti nel tempo, nei secoli, gesti di donna che sono sempre quelli eppure sempre unici. Sempre un’arte. Ad alcuni sarà poi capitato come a me, tra gli uomini, di mettere le scarpe senza infilare la parte posteriore della calzatura, e camminare mimando un poco una donna che cammina sui tacchi, e nello specifico una donna amata e persa che camminava sui tacchi. Rimpiangendo quel gesto che si mima, quei tacchi che lei aveva, quei piedi e quella donna su quei piedi.
Le poesie di Mehmet Yashin continuano poi con perle di saggezza e poesia di altissimo livello: Ogni cosa si perdona col tempo / ma l’Amore non perdona mai. Ma è nelle poesie di guerra che forse il poeta più si riconosce. Una guerra da lui vissuta direttamente. Durante i fatti del Natale 1963 di Cipro infatti numerosi membri della sua famiglia furono uccisi, deportati o dichiarati dispersi. La sua prima raccolta (titolo francese Soldat mort mon amour) l’ha dedicata a tutte le vittime delle guerre di Cipro. Quest’opera inoltre, pubblicata nel 1984, è stata bandita nel 1986 dal regime militare. Lui stesso, espulso dal paese, ha potuto farvi ritorno solo nel 1993. Ciononostante Yashin condivide con il nostrano Ungaretti una tensione inesauribile verso la pace, la vita, che salva: Sento, / i canti per la pace più belli li intonano / coloro che muoino in guerra.
Una poesia sottile eppure potente. Convincente. A tratti altissima senza possibilità d’appello, senza via di scampo. A volte anche senza Dio, ma in pieno accordo col dolore umano di fronte alla tragedia, alla crudeltà: Dopo un po’ un giorno / cosa vedo? / Il nostro gatto mangiava i suoi stessi micini o ancora Dio sospirò: / – Un uomo che muore di una morte così dolorosa / andrebbe senz’altro in paradiso / se avessi un paradiso.
I piedi
Adori i suoi piedi. La sua pianta ricurva.
La sua caviglia tanto forte che non farà male neanche un poco
nel toccare il pavimento… in fin dei conti, le sirene non possono mostrare
il dolore che sentono ogni volte che camminano sulla terraferma.
Lei inclina la testa con quei suoi capelli inafferrabili e guarda con sorpresa
i suoi piedi attraverso i tuoi occhi. E anche il modo in cui girano su se stesse
le parole pronunciate al contrario
come le curve di un hula hoop… adori
il bordo dell’ombra madreperlata delle sue unghie. Le sue gambe slanciate
che si allargano appena e salgono al polpaccio
che ti ricordano in certi punti l’ala di un uccello bianco con le piume gialle
le sue dita dei piedi ti emozionano come se dovessero prendere il volo da un momento all’altro.
Eppure non volano. Lei cammina sul terreno diritta e diritto. Quasi rigida.
E si allontana senza indecisione… disegnando una curva
verso di te, mentre si fa sempre più distante sulla sabbia
– adori il modo in cui nasconde i talloni alla tua vista.
Tra le sue mani fiori di Narciso
Il mio amore è tornato
è tornato da me il mio amore, è tornata.
Ecco è qui di fronte a me
con calze nere e una nera gonna cortissima
e quegli occhi verdissimi
come un gatto siamese…
Il mio amore è tornato
dopo che ho patito abbastanza
e prima che la pena potesse alleviarsi
giusto in tempo!
(Mi chiede dei tre mesi passati senza di lei
con quante persone ho dormito
1 2 3 4 –in verità nessuno-
9 donne e 5 uomini le rispondo
storce le labbra, ma che importa
è tornata da me).
Il mio amore è partito
per prendere il primo aereo di domani
e io sono rimasto di nuovo al centro di Londra
qui là
se vi rimanessi che bello sarebbe
fra tre mesi sembra tornerà di nuovo
con in mano fiori di narciso.*
* ritornello amoroso, leggilo e leggilo ancora…
(….)
Vado via, non mi aspettare
Non mi aspettare ti ho punita per la vita
notizie da me cesseranno di arrivare
e così pure cartoline di una città che si apre sul mare.
Vado via, non mi aspettare
continua la tua vita in quella tomba da faraone
con le infinite solitudini dei tuoi pezzi unici
e con la tua gomma da masticare.
(E poi non v’è nulla di triste in quest’addio
l’amore nella nostra epoca è stato diagnosticato
come una malattia mentale)
Vado via, non aspettare
sei una bugia che inganna se stessa tu
e mai ascolti me
né permetti al silenzio
di poterti dire la verità dell’anima.
Vado via… ‘Se vuoi andare, vattene!’
Ma leggo dai tuoi sguardi che sono fissi su di me
la passione che non lascia libertà all’uomo
e francamente ho paura che tu mi uccida.
(E ho ancora molte altre ragioni per andare via.)
Ogni cosa si perdona col tempo
ma l’Amore non perdona mai etc.
Poesia di giorni che non ci appartengono
I
– Era Estella il tuo nome
la zia che prima di noi viveva in questa casa?
Avevi dei figli?
E questa fotografia qui sul muro
racconta del giorno del tuo matrimonio, zia cara?
– Era Estella il tuo nome?
Tue le mani che stendevano la biancheria sul balcone
prima di noi?
Tue le impronte di dita sulle piastrelle
tua la voce che si aggirava per le stanze
Zia, zia cara…
II
Sei la porta infranta con il calcio del fucile
il vestito che veste gli stranieri
la pentola che cuoce cibo per altri
Non sei altro che una fotografia vecchia
Neppure negli album v’è rimasto spazio.
III
Se solo potessi incontrarti un giorno
ne sarei molto felice, molto felice.
Metto da parte tutte le tue fotografie, ragazzina:
– il tuo compleanno, ecco
– la torta con tre candeline sotto l’albero di mandarino
– sei al mare con Zio Paperino
– dalla macchina saluti con la mano
– tuo padre e tua madre ti sorridono
e tu sorridi a me.
Te le ridarò, ragazzina:
ma di tanto in tanto mi si stringe il cuore
un pensiero mi angoscia
e se in guerra tu fossi stata uccisa?
IV
Mi chiedo curioso
chi era il grecocipriota che leggeva questo libro?
Si è fermato a pagina 48.
Forse proprio in quel momento è stato chiamato alla guerra,
e il titolo del libro
era L’uomo non nasce soldato.
Avrei voluto avere dei ricordi con te
mangiare insieme un gelato
medicarti la ferita sulla mano
poter indossare il tuo impermeabile in un giorno di pioggia
E avrei voluto che tu sapessi che mi sono io stesso stupito
di come qui, così, io abbia potuto continuare
il libro che avevi lasciato a metà.
V
Tutto intorno a me odora di sangue
sangue.
Io non sono un assassino
fate la pace con me fiori nei vasi
coperte, sedie
e fotografie negli album
io non sono un assassino.
Ovunque intorno me scorre sangue
sangue.
Se solo aveste vissuto e visto
io non sono un assassino.
La favola più seria
Nel momento stesso in cui iniziavano i discorsi di guerra
una donna grassoccia pensava a cose serie:
— Mi farò cucire
un vestito nuovo, verde a pois arancio
rientrerò presto dalle mie visite
e cucinerò patate al forno.
La favola del nostro gatto
Quando ero piccolo mi chiedevo
se il gatto dei nostri vicini greci
fosse pure lui greco.
Un giorno ho chiesto a mia madre,
i gatti sono turchi
i cani greci, mi ha detto
e i cani attaccano i gatti.
Dopo un po’ un giorno
cosa vedo?
Il nostro gatto
mangiava i suoi stessi micini.
La favola raccontata in silenzio
Il “soldato silenzioso” lo chiamavano i suoi amici
nel taschino un piccolo Corano
al collo un amuleto benedetto
sarebbe andato diritto in paradiso quando lo avrebbero colpito.
Dio trovò il suo cadavere come un pugno di cenere
Non pensate che non lo abbia portato in paradiso
perché non aveva visto il Corano e l’amuleto.
Dio sospirò:
– Un uomo che muore di una morte così dolorosa
andrebbe senz’altro in paradiso
se avessi un paradiso.
La favola raccontata la domenica
Il generale va al mare la domenica
nuota come un pesce
pietruzze colorate raccoglie
e conchiglie.
Il generale costruisce castelli di sabbia la domenica
e mentre scava nella sabbia contento
trova un piccolo scheletrino
che fa piangere quell’omone come un bambino
Mi piace il generale la domenica.
La favola della nostra strada
Il nome della nostra strada
è “Via Martire Ahmet Kaya.”
Prima dell’ultima guerra
era “Via Martire Hasan Hayrettin”.
Mia madre dice che era stato
“Via Sergente Hayati, martire”
prima, prima ancora che io nascessi.
Nessuno ricorda, mio generale
quale fosse il nome della nostra strada
prima di essere “Martire”.
Il canto del mio amato
Il mare era il canto del mio amato
la guerra ha gettato l’ancora nella sua voce azzurra
mio amato
soldato morto.
Il grano era il canto del mio amato
la guerra ha messo le manette al suo sguardo dorato
mio amato
soldato morto.
La pace era il canto del mio amato
la guerra ha spezzato in due la sua risata bianca
mio amato
soldato morto.
Sento il mio amato
intona canti il soldato morto
canti azzurri suonano alla porta della nostra casa.
Sento,
i canti per la pace più belli li intonano
coloro che muoino in guerra.
Molto bello, grazie! Mi ha colpito una delle chiuse che anche tu hai citato, “Ogni cosa si perdona col tempo / ma l’Amore non perdona mai etc.”, con quell'”etc.” che spariglia tutto, dà un tono provvisorio e dissacrante, il contrario di quello che dovrebbe fare una chiusa – eppure funziona benissimo. Questo poeta sa chiudere così bene che può anche permettersi di “sbagliare apposta”. E lo stesso può dirsi del modo con cui gioca con la banalità e le contrapposizioni ardite (la morte in guerra e Paperino). Non ti pare?
G
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