Nel 2011 esce, per Garzanti Editore, Trinità del’esodo di Eugenio De Signoribus. Libro spirituale già nella dichiarazione del titolo, che unisce il concetto cattolico della trinità al veterotestamentale (ma in fondo nemmeno solo veterotestamentale, basti pensare a Cristo in terra) concetto di esodo. Il tutto per giungere quasi in punta di piedi, o in punta di versi, alla fondamentale dichiarazione/domanda: Pensi sia ingenuo o assurdo / voler disarmare la morte / con l’incompiuta parola? Parola che è vista come dono che, in quanto tale, tenta di risolvere la fondamentale contrapposizione bene delineata in preludio al volume: tra quelle aglie pietose / s’insinuava il genere male. Un male che la poesia tenta di osservare, svolgere, sfinire. In altri testi (non qui presenti) De Signoribus parla di civiltà, società, ordine. Il tutto però attraverso una continua metafora che poggia su simboli condivisi (ad esempio il bambino che non sa più chi è / se non un camminante carico di orrori. / Egli ne è seppellito e ansima e subito si sbraccia / per liberarsene: apprende così i traumi del corpo e / del respiro dei rimasti sotto le macerie). Simboli e metafore che in chiusa emergono come utopia in quanto in quel corso ogni vero ritraluce / prima del chiaro o prima che sia spento.
Vi è una sorta di epifania dall’eco luziana in questo volume di De Signoribus, come giustamente afferma anche Rodolfo Zucco in prefazione: Eugenio De Signoribus ci aveva lasciato, nell’interlocutorio finale delle Poesie (1976-2007), davanti alle figurazioni delle Soste ai margini: figurazioni che mostravano uno stato di scorata paralisi […] Ora il percorso riprende sotto l’insegna di un titolo insieme suggestivo e puntuale nel portato simbolico degli addendi […] verso l’epifania di una voce. Ma un esodo è anche un viaggio che prevede un viandante, ed è appunto il simbolo del viandante l’identità mistica che si ritrova tra queste pagine. Il poeta è l’uomo, e cammina verso una verità da scoprire come molti viandanti celebri, biblici e non (non ultimo il viandante letterario per eccellenza: Dante).
Per chiudere vorrei ricordare le parole di Marco Ferri su Trinità dell’esodo. Parole vere e seducenti. Seducenti proprio perchè vere, perchè dentro l’esodo spirituale di Eugenio De Signoribus: A questo punto la parola utopia possiamo ritirarla fuori, ma è vuota, solo un piccolo fuoco, qualcosa che scalda. In effetti, la struttura dialettica del libro di De Signoribus, l’allusività biblica e dantesca che lampeggia lungo tutta la pista di atterraggio, sembra avere un suo punto di arrivo. Ma è ancora notte. Nonostante il tessuto linguistico e la forza del respiro (e del ritmo), l’epoca oscena ha scarnificato il viandante e lacerato le mappe, la salvezza è davvero soltanto una professione di fede, religiosa o laica, o religiosa e laica.
L’opposta radice
…
si vedeva un sole interrato
all’opposta radice del mondo
e infinite umane sterpaglie
velate di cenere colla…
tra quelle aglie pietose
s’insinuava il genere male…
…
È l’era dell’imperdono
è l’era dell’imperdono
che si dispiega bassa
nell’uno e nella massa
è l’era dell’imboscata
dei miti di ritorno
di potenza e crociata
è l’era in cui solo
il seme dei sentimenti
mi riporta a me
e ogni tanto rinasco
e voi rinascete in me
oh fraterni e perduti
negli inferi dell’era
nel dissenno a raggiera
nello scacco dell’uno
e della schiera
Se ci fosse la grazia
se ci fosse davvero
la grazia d’un rinascerci
in uno scarto del tempo
nel sonno della polveriera
popoli di lacerati
sorgerebbero da ogni confino
popoli sconfinati
nel suolo comune
popoli affrancati
da ogni germe assassino
La faglia
(la faglia non si può più arginare
e una stanza dall’altra ci separa
quella alle spalle è il nutrimento
questa davanti è un chissadove…
sull’orlo della ripartenza vale
la dura rincorsa della volontà
e la ricucitura della pelle
e la riconfidenza del frammento
ci diranno chi siamo, chi saremo)
Il primo dormiente
l’uno fetale, dorme,
insieme respiro e apnea
accusa e penitenza
mente strappata e idea
lucente ma bandita…
perchè così s’attesta
anche se è un vecchio ormai?
nell’incoscienza soffia
sopra i ginocchi un’altra
fervente vita
Il secondo
dorme? oh se una mano
leggera lo sfiorasse
come un pastello rosa
sopra una gialla carta!…
come una lingua viva
sopra la pelle arsa!…
la geografia del sangue
verrebbe in supericie…
(solo la tempia pulsa
nel corpo rinsaccato
e la sua cera spenta
cela se fu felice)
Il terzo
non dorme: egli è coinvolto
in un inferno dove
raspe lingue l’arringano
che a fatica contiene…
s’imbreccano le vene
nel diverbio penoso…
rincorre nel suo interno
una scheggia a ritroso…
ricorda? si, ricorda!
ma tutto è sobillato…
un dì, quell’ora, forse…
ma tutto ora è sfasato
Questa è la sua vistura
(questa è la sua vistura
dei tre dormienti o tali…
mai mossi o semoventi
se non per rari cenni:
ticchio o contrattura
di occhi diti denti…
minimi eventi e traumi
nel tormentoso sonno…
le vie nascoste hanno
in dono il mai riposo)
Ombre nel bosco
nessuna scuola d’acqua
è provvidenza per la parola
La donna china
la donna china al torrente
immerge il viso nell’acqua
che non bagna
viso che vede distorto
da una rete che stagna
nell’occhio dolente…
cerca anche lì la sua colpa
che forse non ha ma sente
nel sé sottovivente
che venga a galla, almeno,
che possa riconoscerla
e darsi così un conforto
di penitente
Anche fuori da insidie
anche fuori da insidie arroccate
dal suono scontorto mentale
o dagli accampati murati
dai loro stessi rancori o timori
anche nel quadro naturale
che per sua legge s’imbosca
per la sua trama ancestrale
è la vittima che chiede perdono
Dialogo
A – Pensi sia ingenuo o assurdo
voler disarmare la morte
con l’incompiuta parola?
E in questa prova snudata
e dilaniata pulsione
cercare il perdono e la quiete?…
B- No… ma penso insanabile
la falla del cuore
una volta strappata la rete
di miserabile polvere…
La parola che vede è già un dono
e questo, per ora, sia tutto!…
Congedo
ecco, utopia, nel quotidiano stento
il tuo volto nell’oltre mi traduce
in quel corso ogni vero ritraluce
prima del chiaro o prima che sia spento