Per amore – Paolo Ruffilli

tacchi

Conosco Paolo Ruffilli da qualche anno, ed è un autore che amo molto. Non tutti i suoi libri mi hanno trovato sempre entusiasta, ma devo ammettere che Affari di cuore (Einaudi 2011) è sicuramente una delle sue migliori cose.

Che l’amore sia uno dei temi preferiti dell’uomo è cosa ben chiara e risaputa. Che l’amore sia anche erotismo è cosa che nel tempo ha subito diverse variazioni e gradazioni. Paolo Ruffilli in Affari di cuore compone un vero e proprio percorso/mosaico tra le fisicità di diversi amori. Amori presenti, amori amari, amori complessi, amori guerreggianti e amori perduti. Ponendo sempre i corpi e i loro desideri come ago della bilancia della guerra tra gli individui.

Perchè l’amore è in fondo una guerra. Lo diceva Properzio secoli fa e lo dice Ruffilli oggi. Una guerra fatta di avanzamenti, rese, pause, corpi a corpi, furori e violenze, passioni. Una guerra sacra nell’alcova. Una guerra magnifica, stupenda anche quando dolorosa.

Tutti prima o poi proviamo questa guerra. Perchè l’amore fisico, l’erotismo, è in fondo lo specchio della nostra natura. Chi è sottomesso, pauroso, nel letto lo sarà anche nella vita. Chi invece fa la parte del leone, del fantasioso, del passionale, lo sarà anche nella vita. Un letto/amore che è anche cannibalismo proprio come nella vita. Un entrarsi dentro e respingersi, un accusarsi e cacciarsi, un prendersi e riprendersi.

Che nella vita le persone si facciano del male è, purtroppo, cosa molto vera. Capita di fare azioni sbagliate, volontariamente o meno, come capita di subire bugie più o meno gravi di cui non se ne capisce il motivo. Tutto questo è sesso, è corpo, è guerra dell’amore. È ciò che Ruffilli senza mezze parole ma mai volgarità descrive come l’attrazione che l’essere umano crea e al contempo subisce. È la terribile coincidenza degli opposti. Il non bastare mai. Il mondo che alla fine vince sempre.

L’immagine messa a copertina di questo post non risponde all’idea che avevo inizialmente. E prendo questo paio di scarpe solo come metafora di un’altra immagine che mi è cara ed è molto più bella. Ma che non posso usare. Simile, sempre scarpe. Sempre corpo d’amore. Ma tratta dalla Biennale di Venezia di quest’anno.






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