In uno dei mottetti per la sua musa girasole, Clizia, Eugenio Montale parla di «segno» che «s’innerva» e lo descrive con queste parole: «sangue tuo nelle mie vene». Cosa o chi s’innerva in te arrivando a scorrere nelle vene della tua scrittura?
Intanto ti voglio ringraziare per queste domande, Marco, e per avere pensato a me. Montale si rifaceva a una donna reale (Irma, vissuta contemporaneamente a Drusilla) e ideale (Clizia). In tutto questo va considerato che il Montale che perde Irma per sua stessa incapacità a gestire le cose della vita (la possessività e i tentati suicidi di Drusilla) è il medesimo che la idealizza e la relega, in qualche modo, a figura di donna idealizzata. Clizia non è Beatrice, non è colei che ascende ma è la possibilità di una salvezza che esprime e contiene anche tutte le frustrazioni del reale rapporto con Irma in una sorta di autoalimentazione di quel vissi al 5 per cento montaliano. Quando parliamo di segno che s’innerva e sangue tuo nelle mie vene dobbiamo capire di cosa stiamo parlando. Il segno che s’innerva va considerato alla luce della cara minaccia che consuma e dell’altro che lei stessa rappresenta.
A questo punto cerco di rispondere. È doveroso sottolineare che la mia vita letteraria (parolona per uno che ha solo 42 anni) al momento è suddivisa in due momenti: il primo nel quale la tematica era prevalentemente amorosa, il secondo sostanzialmente rappresentato dall’opera a cui sto lavorando da cinque anni (Il Condominio S.I.M.). Prima il mio segno che s’innerva era sostanzialmente una donna che, nella relazione, portava i simboli del rapporto dell’uomo con il mondo inteso come realtà astratta, più concettuale che reale. Nessun percorso definitivo, la donna, il segno che s’innerva, era sostanzialmente la cornice di un quadro di studio. Dal Condominio S.I.M. ho cambiato prospettiva e segno. Alla radice prima dell’opera c’è sempre una donna, in questo caso letteralmente una Irma, ma solo come punto di partenza e continua adesione e scontro con la realtà. Il sangue tuo nelle mie vene in questo diventa l’osservazione delle relazioni altrui alla luce di una comprensibilità data dall’esperienza diretta (con Irma).
Nelle vene della mia scrittura s’innerva il desiderio di comprendere delle persone che hanno nome e casa, luogo. Perché questa solitudine? Perché le relazioni sembrano più muri alzati con incontri (anche intimi) che sono distanza, non avvicinamento? È questo che mi interessa, il segno che s’innerva: partito in qualche modo da Irma e dalla mia esperienza con lei cercare di far domandare ai lettori quanto di Olga, di Carlo, di Anna, di Giulia e via dicendo (tutti personaggi dell’opera) c’è in loro. E perché.