Non voglio essere l’ultimo a mangiarti – antologia di poesie erotiche

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Non voglio essere l’ultimo a mangiarti. / Se allora non ho osato, adesso é tardi. / Non soffia più l’antica fiamma e berti / non placherebbe sete che non arde […] ed arrivassi, intatta, rifiorita, / per ingaggiare con me la lotta estrema / che rendesse l’intera nostra vita / un fiammeggiante, universale poema. Con queste parole Carlos Drummond De Andrade (altri testi qui) disegna un efficacissimo quadretto erotico che dalla componente prettamente fisica si muove e si coinvolge nella componente psicologica, emozionale, sentimentale. Perchè il rapporto amoroso è sempre una relazione che trascende il corpo che, pur usato, diviene strumento per dire e ascoltare qualcosa che altrimenti non si potrebbe dire nè ascoltare. Perchè determinate parole nascono esclusivamente nelle mani incontro all’altro, anche quando sono contro l’altro, o sono senza l’altro. In un rapporto che non contempla la possibilità della solitudine nemmeno quand’essa è la situazione contingente in quanto eros è sempre dialogo, sempre bisogno dell’altro. E da questo bisogno nascono delle specifiche e particolarissime parole.

All’interno di un evento facebook proposto in relazione a un evento reale organizzato dalla Samuele Editore a Trieste il 9 gennaio 2016, dove con il prezioso aiuto di Sandro Pecchiari stiamo portando avanti un ciclo di incontri presso la libreria Mondadori di Via Cavana dal nome Una scontrosa grazia, abbiamo pensato di offrire uno spazio di espressione per cercare di capire come le persone sentono e scrivono di eros. L’evento che appunto genera il tema è Poeros del Gruppo 77 di Bologna, un incontro che emblematicamente porta come sottotitolo la sensualità nelle parole della poesia e che è inoltre diventato il primo numero della neonata collana bolognese I Folli della Samuele Editore (a cura di Silvia Secco che ne ha assunto la direzione). Le regole erano molto semplici: postare al massimo tre poesie erotiche nell’evento facebook. Una proposta che molto velocemente si è trasformata in un piccolo concorso lampo (cinque giorni appena) con in palio, al vincitore unico, un volume Poeros.

I testi arrivati sono stati 131 e hanno formato questa piccola antologia involontaria, del tutto casuale, senza filtri o discriminazioni in quanto testimone casuale di uno spirito diffuso tra le persone. Eros è bisogno dell’altro e in questo bisogno del tutto umano e del tutto meraviglioso quasi perdono di significato le definizioni di poesia, di verso, per prediligere una fotografia onesta e chiara di un pezzo del nostro tempo. Perchè la poesia ha anche questo potere che forse è il potere, la sua possibilità. Abbiamo inoltre chiesto ai partecipanti di indicarci la città di provenienza per calcare ulteriormente questo significato di fotografia, non mappa ma itinerario. Scoprendo una preziosità emergente da ogni parte d’Italia.

Poi la giuria improvvisata per l’occasione da me (Alessandro Canzian), Sandro Pecchiari e Silvia Secco (anche noi in effetti qua e là ci siamo messi in gioco, ovviamente fuori concorso) ha definito un vincitore, colui che ha ricevuto in omaggio una copia del libro, nella persona di Toni Piccini di Trieste (testo: Haiku 3), e due menzionati che abbiamo letto e ascoltato durante la premiazione (Stefano Bulfone con Melissa e Antonella Lucchini con Mi svegliano ogni mattina) e scoprendo allo stesso tempo una direzione preferenziale, una nostra opinione. La scelta è stata infatti all’unanimità su una base molto simile. Abbiamo definito cinque testi a giurato e su questi abbiamo, per numero, trovato il vincitore. Ma su quei cinque ci siamo anche trovati d’accordo che avevamo apprezzato più i testi brevi in quanto ci sembravano più aderenti all’essenzialità carnale e innamorata dell’eros. Ripeto: solo una nostra opinione.

Nel presente articolo restituiamo l’intera antologia che si è venuta a formare del tutto per caso e in cinque giorni di concorso, senza alcun ordinamento specifico ma realmente così come sono arrivati. Testi molto diversi tra loro ma tutti accomunati da un’unica verità: nonostante l’individualismo e la solitudine del nostro tempo (nonostante, similmente alla poesia di De Andrade dove il non voglio essere l’ultimo a mangiarti in realtà nasconde un ed arrivassi, intatta, rifiorita, / per ingaggiare con me la lotta estrema) abbiamo ancora bisogno dell’altro. E nei due sensi, non solo nella direzione del prendere.

L’immagine di copertina è di Takato Yamamoto

Alessandro Canzian
Sandro Pecchiari
Silvia Secco

 
 
 
 
 
 
Questo
torace liscio
come una tavola forte
questo spazio
teso
come una lastra nuova
del passato
tu sei la tela.
 
Tocco
con le dita
il tuo presente,
ne scolpisco il profilo,
ne guido il respiro:
è ansante,
vivo,
è mia creatura,
sta salendo
in questo momento.
 
Lo afferro
lo tengo
lo liscio.
 
Mi faccio strada
bacio, accarezzo
trattengo la sua deliziosa
fragranza di carne
e con essa
mi ci faccio una sedia,
il mio tavolo
la mia casa.
 
Questo torace
è molto più di
questo; è
l’essere trattenuta
su un piano infinito.
 
Maria Luigia Longo (Lecco)
da Lodi del corpo maschile
 
 
 
 
 
 
Chi è il gatto?
 
Che le parole siano una corazza
lo sa il mio gatto
e condivide una koiné di nasi
e peli e mani e unghie
e un arrendersi di pance.
 
Ci guardi muto
nel nostro idioma maschio
di topini lasciati sulla porta
un croccantino per conquistarti
meglio di un mazzo di rose,
tu capisci?
 
Puoi provare ad allenarti col sorriso
puoi esplorarmi il dopobarba
leccarmi le orecchie i piedi
che rivendicano
la caduta delle scarpe
le calze ammainate
– la tua ha un buchino –
i vestiti sbandierati più lontano
la mia pelle la tua pelle conquistata.
 
Dopo la scorribanda sullʼaddome
il tuo wish trail
che mi rende falco pellegrino –
posso discutere della rotondità perfetta
del tuo neo proprio sopra il pube
posso…
mi bastano una vocale
aperta centrale non arrotondata
una sorda consonante glottale fricativa:
 
“Ah!”
 
Sandro Pecchiari (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Mani
 
Torcia di luce in te
fame su di te
sfida con te
dono per te
il desiderio
 
precede e consegna
orme di fuoco
 
ma
tace e sorride
quando
come labbra
si aprono e si chiudono
le tue mani
che
la bellezza del tempo
nei ruscelli delle vene
mostrano
 
Martino Sgobba (Bari)
 
 
 
 
 
 
Fuoco
 
Starebbero i corpi in un calore ardente
nell’abbraccio liquido
delle viscere dentro i nostri ventri
e lava rossa la lingua
insinuante nei profondi solchi
nelle tue superfici irte e nei miei avvallamenti.
Una sola danza come sensibili fiamme
nuove levigate terre vive
da scrutare sotto le nostre dita
e luci avvampanti ai nostri occhi.
E poi improvvisi scoppi
dirompenti fragori
e tremori ribollenti.
Vulcani
potremmo essere io e te
che si addormentano
lentamente.
 
Fabiana Petozzi (Maniago, Pn)
 
 
 
 
 
 
Prova di ascolto n.3
 
Per l’impudenza che ora e ancora avvampa
quei tuoi calzoni di velluto nero
io ti direi parole
molto esplicite
vendute a un’asta del ribasso e mai
cedute al loro peso intero e vero.
Se mi guardassi
di traverso
come in auto
lo sguardo fermo e ostile sulla strada
il ghigno della bocca ombrosa a me
dente per dente
quei sospirosi malumori che già dicono
le voglie presenti e quelle altalenanti.
Io sì ne raccoglierei
quante ne vuoi
per tutto quello che non hai mai detto
durante e dopo gli avidi torpori
le porte aperte
i corpi senza tema di smentita
la crudeltà della tua voce che farfuglia
parlando a sé nel gorgo
del tuo cuore nudo.
 
Stefania Esposito (Pescara)
 
 
 
 
 
 
Desiderio
 
Penso alla tua pelle
ad ogni brivido che mi da
che nasce nascosto dietro
ad un desiderio poco celato.
 
Pensando alle tue mani
che vorrei mi accarezzassero
dandomi le emozioni
che sto cercando…
 
Cercano un fuoco
che piano piano aumenta
ad ogni respiro sempre
più vicino.
 
Apro gli occhi
cercando la complicità nei tuoi
che si chiudono
per lasciare spazio
al corpo di capirne i segnali.
 
Bocca su bocca
si mescolano
nella liquidità dell’amore
che scioglie ogni tensione
ed ogni desiderio.
 
Lisa Dalla Francesca (Sacile)
 
 
 
 
 
 
Osservo
 
Quando osservo
la tua nudità
chiaro scura…
 
Penso…
Al desiderio
che di te ho.
 
Tesori nascosti
da giungla scura
e ti voglio amare…
 
Mani
per accarezzarti
e tu fremi.
 
Lisa Dalla Francesca (Sacile)
 
 
 
 
 
 
Torta di mele
 
Che divertente fare la torta di mele,
tu le sbucciavi io le mangiavo,
mi minacciavi facendomi il solletico,
di smetterla.
Tagliarle a fettine sottili
mescolare farina e uova
lievito e cannella, zucchero
poi leccavamo il cucchiaio…
con baci profondi,
ti pulivo la bocca
disponevamo le mele
sulla torta
sfiorandoci le mani
guardandoci
negli occhi,
infornata
poi abbiamo fatto l’amore
aspettando
la fine della cottura
 
Fausto Majorana (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
Calda liscia la tua pelle
 
Calda liscia la tua pelle
profumata la tua pelle
profumata di sesso
la tua pelle
profumata di te
 
Fausto Majorana (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
La goccia di sudore
Il sole batteva ancora forte,
quando sei arrivata!
Eri sudata
per la corsa fatta.
Da seduto guardavo la goccia di sudore
che ti scendeva,
piano piano,
giù
per il collo,
sul petto,
fino a infilarsi
tra le tette
avrei voluto
asciugarla
 
Fausto Majorana (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
Del desiderio. I
 
T’ho visto,
eri dietro i tuoi occhi, nascosto
agli sguardi indiscreti. Dietro gocce d’ossidiana,
mi hai sorriso.
 
M’hai vista
nei tuoi sogni, di notte di giorno.
Corpo a corpo, liquidi di desiderio, mi hai scalata
                                                            in vetta al piacere hai urlato più volte il mio nome
                                                            ero qui chiamavo forte il tuo il cuore in gola
 
Febbre negli occhi neri,
m’urlavi forte in petto.
 
Giovanna Zunica (Bologna)
 
 
 
 
 
 
Melissa
 
Adesso il velluto della melissa,
sasso levigato dal languore del sole,
scommessa dell’acqua che sale,
sfiorare setoso fra concavo e convesso,
adesso verso di me le tue labbra.
 
Stefano Bulfone (Udine)
 
 
 
 
 
 
Giugno piovoso
 
Le carni molli di una tensione passata
conservano il profumo dei vettori
d’intensità e di orientamento uguali
Ma di direzione opposta, non sfalsata.
Il bacio umido e lento, intenso giocoso
ci ha lasciati con una sensazione di
caldosalato in questo giugno piovoso
 
Stefano Bulfone (Udine)
 
 
 
 
 
 
Equus – I
a Peter Shaffer, Equus

 
solo pascoli e mosche
e corse sulle lame d’aria
e odori nel sole nella pioggia
quest’uomo mi decora
di speroni
mi afferra la bocca con dolore
mi avvolge con le gambe
il sudore lo trascina
nella spinta dei nitriti
 
lo lascio venire se mi vuole
lo porto attraverso i miei segreti d’erba
nel mio sogno di galoppo
senza morso
insieme penetriamo
nella precisione.
 
Sandro Pecchiari (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Giungerò
fino a sfiorarti
 
in questa crescita del tempo
 
e quell’incontro tra anche e mani
graffiando con le unghie il cielo
 
ci saran tracce di noi
nella geografia dei mesi
 
sentirò odore tuo
nel fondo di pupille
 
mentre cerco il resto
tra il bianco della luce
 
e nel silenzio
della carne
 
Irene Guagno (San Vito al Tagliamento, Pn)
 
 
 
 
 
 
Cuore di Rena
 
Vorrei essere la sabbia del mare
percossa accarezzata
sospinta
spianata
lavata
segnata solcata
da un’onda incostante e sincera
purché soltanto…
 
Nulla mi sarebbe più caro
né peserebbe a me la spoglia solitudine
di albe invernali ingrigite
o il peso polveroso del calore
che abbaglia l’estate e opprime
solamente per questo…
 
Sopporterei l’amarezza del mare
l’acre risacca in gola
con gioia, basterebbe
ricevere in me, una volta sola
nel mio cuore, scavata e bella
la calda impronta del tuo corpo nudo
la tua bellezza impressa
 
anche solo una volta
nel mio ruvido cuore di rena.
 
Furio Detti (Pisa)
 
 
 
 
 
 
Visita alla pinacoteca
 
Mi riposo dai quadri obnubilata.
Ricche trame di Madonne
d’oro e santi in Gloria,
resta in piedi a fatica
la custode con un tacco rovinato.
Capelli di seta e volto da martire.
Commenti di passaggio e stupore
d’intelletto, mi diletto
fra Nature morte
eppur lucenti di rubino.
Il Cristo Crocifisso guarda in alto,
Ognuno ha il suo martirio.
neppure il cardellino si salva
dalla crudeltà di un Battista Fanciullo e Boia
per un divertito Bambinello.
 
Linda Lercari Bartalucci (Grosseto)
 
 
 
 
 
 
Io, che sto imparando a viaggiare
contro tutti i sistemi, da quello
sociale a quello statale, a quello
solare! Questa insofferenza
è parto di un animo che, nel
suo travaglio, richiede un riscatto
della propria condizione a
questo ricatto cosmico.
 
Pierluigi Boccanfuso (San Giorgio Jonico, Ta)
 
 
 
 
 
 
L’amplesso cosmico
 
Risalgo l’antico percorso
Che mi portò a te.
Nessuna segnaletica.
Solo i tuoi respiri
Come fari
Nella mia apnea oscura.
Il tuo fiato su di me,
il mio ossigeno per noi.
Spalle, le tue,
le mie ali.
Risalgo cheratinociti, i tuoi…
Profumano di me.
Esplode il “noi”
Come polvere di Supernova.
Tienimi, collidi in me
Nel pianto di vita
Di un cosmo nascente…
 
Sarah Jay De Rosa (Crispiano, Ta)
 
 
 
 
 
 
Strazio di passione
 
Furioso incendio
è il desiderio di unirmi con te,
giacendo affamati
e gemendo
lasciare che salgano
fino al nero cielo
i nostri carmi di piacere,
come le lodi mattutine
per il dio.
 
Cadiamo nel sonno
dopo l’ardente strazio,
cingendoci tra dolci sudori:
prima che giunga l’alba,
muoio ancora
a contatto con la tua tiepida pelle.
 
Francesco La Porta (Pizzo Calabro, Vv)
 
 
 
 
 
 
Sei
come se fossi
da sempre
Immanente e intimo
Senza inizio né fine
Come se prima
fossero solo
riflessi bagliori ed eco
Sei
oltre tutto il nostro calore
oltre l’interpretaci parole
Sei
con la forza
di questo uragano
del mescolarsi
di mani e bocche
Sei
la continuità
delle nostre acque
Sono
 
Carla Vettorello (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
Grazia
 
Grazia tua magnifica di donna
che preda di lussuria
ti fingi ragazzina nel piacere
e arrossisci sulle guance sculacciate.
Grazia tua leggera di passione
di passera o piccione che si bagna.
Grazia di giovane pollastra
generosa tutta cuore e rinomata.
Grazia d’esperta quaglia
o di fagiana imbellettata
apparecchiata sulla lingua e pronta
prim’ancora che tu dica
grazia di fringuella spalancata
da leccarsi baffi e dita.
Grazia di fava umida e salata.
Grazia di fregna che disseta e sfebbra.
Grazia celebrata sull’altare a pane e vino.
Grazia micidiale di zoccola vestita a festa.
Grazia indirizzata ad altro uccello
ad altra ciola che sorpassa in cielo.
Grazia surreale di tagliola.
Volgarmente di spaccazza fessa
di patonza grazia che ti strazia
nelle carni che ti stana nel tuo amore.
Grazia che ti rode che ti scava.
Grazia che ti chiava o non ti chiava.
Grazia più di sorca che di cuore
belva tutta nera di pelliccia
selva inferno: guaio senza uscita.
Grazia pisciatora e calamita.
Grazia tutta liscia e depilata. Pesca
e pesce fresco di giornata.
Grazia micia gonfia di burrata.
Grazia di gran porca e di giaguara.
Grazia che divora senza scampo.
Grazia dolcissima e infettiva
che smanetti senza guanto.
Grazia poi di prugna che si caca
e poi si perde nel rimpianto.
Grazia di grandissima baldracca mito
d’alata vacca o umanissima puttana.
Grazia ubriacante che fermenta
l’uva l’uva passa e la patata.
Grazia elementare ma tremenda
di fica rossa rosso sangue
fonte di peccato che consuma
ogni salvezza ogni perdono.
Grazia pavoncella mia di sgravo
e di tormento. Rotacismo. Inciampo.
Grilletto mio parlante e confidente.
Parolina tutta cosce
mette l’ali alla poesia.
Grazia ostia ragnatela e nebbia.
Bussola da naso. Quero sul mustazzo.
Grazia che congiura per averti
appena il tempo di venire e poi svanire
in tutta fretta. Mio sollazzo.
Grazia tua notturna di civetta. Strega
che se viene ruba tutto: il sonno gli anni
l’avvenire. La più non mia illibata
giovinezza. Fiore. Sprazzo.
 
Antonio Lillo (Locorotondo)
 
 
 
 
 
 
Mi rotola
addosso
il desiderio
fino al confine
dove basta
un respiro profondo
per accoglierlo
e covarlo
Ancora
 
Carla Vettorello (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
Inspiro
inarcando
e tendendo
ogni ipotesi
e proposito
a cavallo
di un pentagramma
di luce ancora fresca
che mi invita
a compormi
fra sincope e pause
in un’altra piena armonia
 
Carla Vettorello (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
Stazione
 
La corda della carne
lo scoiattolo verde degli occhi
il granoraggio dei capelli
mi hai fermato
nel respiro di una stazione morta
e gravida di luce al tramonto
 
Abbiamo scambiato il desiderio
due fili d’erba
fra le ruote del treno rifugio
e sentinella
 
Martino Sgobba (Bari)
 
 
 
 
 
 
Un Sogno
 
Camminavo leggera
la maglietta blu addosso
pube al vento era normale
in quella calura d’agosto.
Lo vidi puntarmi diritto
in erezione penetrarmi le pupille
inondarmi il ventre d’emozione!
Un brusco risveglio e poi
oh delusione oh tormento!
Mi chiedo ancora se quell’alitarmi
sul collo fosse solo refolo
d’aria o un riflesso
il contorno sbiadito
nello specchio del bagno
la piega sottile incredula
del mio sorriso.
 
Fabia Ghenzovich (Venezia)
 
 
 
 
 
 
Mi trovi troppo virile
se parto dalle caviglie?
 
Bagnarti il malleolo
e attraversare gli sterpi delle tue gambe
oltre a graffiarmi la lingua
 
mi prepara
alla giostra del tuo pene.
 
Antonella Lucchini (Mantova)
 
 
 
 
 
 
Mi deponi chicco a chicco
tra lingua e saliva
 
nella tua bocca mostruosa.
 
Dalla melagrana arrivi
alla mandragola,
 
l’abisso.
 
Antonella Lucchini (Mantova)
 
 
 
 
 
 
Spente le parole,
mi serviranno
solo le tue mani.
 
A guida
del nostro percorso,
tracciare minuscoli
segni di unghie.
 
Colpire di senso
ogni parte.
 
Rimettere
in pace coi palmi,
l’anima ferita dal mondo.
 
Angela L’Episcopo (Catania)
 
 
 
 
 
 
Come farti capire…
Avvolgerti
nella spirale leziosa
di due gambe.
Stringerti e
di unguento vivo
ungerti.
Aspergerti,
e poi, ancora mio
aspergerti.
 
Angela L’Episcopo (Catania)
 
 
 
 
 
 
Quale remoto serafino, quale
arcana deità, se appena io
disfiori con le dita cautamente
o con le labbra la tua pelle, si
 
approssima e si fa
presente, come in dubbio
ancora trattenendosi e pur già
svanendo… quale
 
benedizione o luce
senza ombra discende sul tuo corpo,
sul mio, su queste mani… e fa di un gesto
lentissimo – carezza appena o bacio –
 
una visione stupefatta, quasi
un sapere di Dio…
 
Giangiacomo Amoretti (Genova)
 
 
 
 
 
 
C’è una profondità da dare
alle parole, il peso vuoto viene
sempre tradito. Ma quando ad
essere tradita è la profondità stessa,
s’apprende che il silenzio approda
al suo valore sacrale e allora,
solo allora, la parola, come
aborto di un feto, soccombe
su una qualche deriva del non-senso.
 
Pierluigi Boccanfuso (San Giorgio Jonico, Ta)
 
 
 
 
 
 
A lei
che sola non è
mi attende bramosa
nei minuti del giorno,
in essi
lei non vive
vive quando i minuti
io
vivo con lei.
 
Sabino Muccilli (Torino)
 
 
 
 
 
 
Mio dolce,
sei allo Zenith
e mi sovrasti.
Con l’estro
dei tuoi colpi
mi corrompi.
Ma io vorrei,
riversa sui cuscini,
godermi la mia Alba
senza Sole.
Pregiarmi,
mentre ascendi,
di trattenerti i fianchi
tra le cosce,
e voluttuosa
le tue belle dita
giocarmele in bocca
ancora un po’.
 
Angela L’Episcopo (Catania)
 
 
 
 
 
 
Corpi
 
Erano i tuoi occhi,
Impenetrabili, profondi
A dare vita e forma
Ai nostri rari incontri.
 
Forti, le tue mani
Negli angoli nascosti
Dei nostri desideri
Reconditi e perversi.
 
Perduto tutto il senno,
Sfiniti e catturati
In fondo ai nostri sensi
Cademmo addormentati.
 
Valicate quelle alture,
Lontano dalla gente,
Tornammo dentro al mondo
Estranei, corpo e mente.
 
Arianna Di Gennaro (Caserta)
 
 
 
 
 
 
E fallo entrare accoglilo in stazione
Che sta venendo, non senti come grida!
Non puo’ aspettare più maledizione,
Lascia passare il treno della vita.
 
Antonio De Rosa (Morano Calabro, Cs)
 
 
 
 
 
 
Ecce Homo
 
Incendi e scoppi in questa casa
lasciamoli alle caffettiere.
 
Neppure nuove giarrettiere
risvegliano dal torpore il tuo brusio
 
Ecce homo, sei rimasto laggiù
in un angolo di sperma. Muto.
 
Raffaela Ruju (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Scioglimi le mani
 
Scioglimi le mani adesso
e lascia che le mia dita lascino il segno
adesso che sta germogliando il desiderio
 
siamo come un sussurro
l’eco fiorito oltre il silenzio
 
Scioglimi le mani adesso
adesso che il piacere si fa rotondo
come rotondo è l’arco del mio labbro
 
Siamo solo due amanti legati
legati e intrecciati tra passione e tenerezza
 
Scioglimi l’anima adesso
adesso che siamo fusi nell’amplesso
siamo due in uno in un ritmo perfetto
 
Siamo irreparabilmente persi
persi, sudati e di orgasmo imperlati.
 
Raffaela Ruju (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Caffè
 
Ricordi?
Quel caffè in campo Santa Margherita, io e te seduti a un tavolino
con le gambe storte, noi due così vicino e un vassoio di latta scolorita.
E colava lento, a sorsi misurati, quell’aroma scuro dentro la tua bocca e parlavi di te e di me, della vita
di adesso e dei giorni andati,
delle canzoni di Fossati e di De Andrè.
E s’arrestava qualche goccia alle tue labbra, si posava lieve e là sostava un poco,
poi con la punta della lingua la portavi nell’oscurità della tua bocca.
 
Altro sorso nero calava ancora, ancora fuoco.
 
E schioccavano tra i denti i pasticcini, briciole giocavano sopra le tue labbra mentre sbiadiva il velo del rossetto annegato nelle gocce del caffè.
Erano per me le tue belle labbra di carne e cioccolato,
ridevano al tuo grande sorriso che brillava.
 
Era tutto per me, quel giorno, che mi aspettava.
 
Francesco Sassetto (Venezia)
da Ad un casello impreciso, Valentina Editrice 2010
 
 
 
 
 
 
Io sono l’amore rinnegato
 
Io sono lo scirocco caldo
che invade la tua pelle-poro
dilatando a dismisura ogni piacere
sudore – brivido – tentazione
ho una rosa di sale tra le gambe
e l’umido tepore della notte
una risata tra i capelli e l’opale nel cuore
sudore – brivido – calore
ho un veleno intrigante e maturo
un tocco che sa penetrare la rugiada
una poesia ammaliante che trapassa
sudore – brivido – eccitazione
La mia ragione intinge sensazioni
rimescola nel ventre la pioggia con la neve
e si fa brina ogni spalla che offre
sudore – brivido – tremore
Sono il peccato primordiale
l’invito del serpente tentatore
la vocazione della spiga e del papavero
alito-sussurro-carezza
Io sono femmina e pure maschio
la bramosia dell’ambrosia
il labbro che incatena il labbro
sospiro-musica-fruscio
Sono l’umido che lubrifica i silenzi
il brivido che non conosce povertà
sono la tentazione della penombra
palpito-gemito-graffio
Sono l’eccitazione della trasgressione
il tremore di un attimo senza dolore
il sogno che si bacia in bocca
passione-erotismo-ardore
Io sono lo scirocco dolce
la fede a cui si crede privatamente
quando la notte colora le lenzuola.
 
Raffaela Ruju (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Non fermarti, accarezzami i piedi
quando io ti sono sopra
. Tre anni
e qualche costellazioni in moto
come se noi fossimo importanti.
Una nuova geografia. Ma il mondo
gira sempre nello stesso senso, lì
sul tuo fianco sinistro,
dove anche il tempo è più sensibile.
 
Alessandro Canzian (Maniago, Pn)

 
 
 
 
 
 
Festa per me
 
Muoviti pure, sì,
come nembi
festosi
e
lasciami lì,
nel mio bagnato stare.
Sparisci e
mi cerchi
a tentoni:
troverai ciò che
ho
(da darti).
Sei speranza,
tu.
Ci credi (o
mi tieni soltanto?)
È il mio
fiume
che voglio;
L’erba vera
e
l’odore
di te che
mi
vuoi,
di te che
mi
hai
(mi hai…)
 
Glorianna Presot (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
e senza tempo
rincorrere la gola delle mani
 
non è una colpa
cercarti con un tocco
 
stordite
accalorate
 
le linee dolci imbrividiscono
e i lobi che si infiammano di gusto
 
Irene Guagno (San Vito al Tagliamento, Pn)
 
 
 
 
 
 
Il navigante
 
Il ventre apolide tuonò l’embargo,
ma egli virò, bussola al contrario
e salpa da allora, schivando,
sangue in poppa,
per l’aortico borgo…
 
Sarah Jay De Rosa (Crispiano, Ta)
 
 
 
 
 
 
Mi svegliano ogni mattino
i raspi della tua barba intorno
al mio ovale di occhi.
 
A pori aperti
ti faccio scendere nel mio sonno
interrotto,
 
la mia pelle frizzante
ti sbuca tra le mani
 
e un secondo cuore
mi batte tra le gambe.
 
Antonella Lucchini (Mantova)
 
 
 
 
 
 
Col mio corpo
tutto ti cerco,
con la punta
dei seni e le dita
sottili, nella bocca
ti aspetto.
 
Lisa Di Battista (Bologna)
 
 
 
 
 
 
Manteniamo, va bene, la nostra
apparenza; continuiamo così,
con la giusta distanza.
 
Ma tu ferma – prometti –
la bocca sui seni, quando a sera,
nel letto, ti tocco i pensieri.
 
Lisa Di Battista (Bologna)
 
 
 
 
 
 
Non so dirti diversamente
– ingenuo peccato dell’età –
come ti voglio, finché non accade:
apro la bocca davanti al tuo
nome-profilo-odore-spessore.
 
Mi guardi smarrito e non chiedi;
poso le labbra sul tuo sesso,
premo impaziente, con la lingua,
ad occhi chiusi, ti onoro.
 
Lisa Di Battista (Bologna)
 
 
 
 
 
 
negli occhi
le cianfrusaglie degli amanti
 
le nenie
che paiono lamenti
 
ritmicamente,
insieme
 
imbarlumite anche le bocche
e sanno di noi
 
Irene Guagno (San Vito al Tagliamento, Pn)
 
 
 
 
 
 
Nell’intimità
 
Com’è bello il tuo sguardo, amore
com’è bello accarezzarti la pelle,
sentirne il tepore e percepire un calore più intenso
dove ti accendi. Voglio
respirare nel tuo respiro, sentire il tuo odore,
voglio assaggiare ogni tua mucosa
e sentirti gemere mentre mi faccio
liquida per te. E poi accoglierti, imbizzarrito
come un animale fiero ogni tua
mossa un brivido che mi scuote
la carne, i sensi e la mente. Travolta
dal tuo corpo guerriero sarò tua
e tu mio e insieme fagocitati
ci perderemo senza più ritegno
nella lotta d’un letto d’amore, immenso.
 
Elisabetta Salvador (San Vito al Tagliamento, Pn)
 
 
 
 
 
 
Danza erotica
 
Il tuo corpo con il mio
danza sul letto di un nudo pomeriggio autunnale
Spoglio di foglie e pioggia
Una danza di veli
che contorce sensi e immagini
Sprigiona poesia dalle parole
e parole da labbra intinte nel vino
Il tuo corpo con il mio
è estasi corporea
Primavera invernale
in cui il freddo
è solo ghiaccio sciolto dalla pelle infuocata,
da note e strumenti
Il mio corpo
è la tua ricerca senza meta
Il tuo corpo
è il mio bisogno senza pretendere
Il mio corpo con il tuo
è la selvaggia dolcezza del tempo rallentato.
 
Anna Minicucci (Campobasso)
 
 
 
 
 
 
Fellatio
 
La mia bocca
è il bosco in cui addentrarti
per lasciar accogliere il tuo desiderio,
una caverna in cui perderti
tra pareti umide
e ritmi inesplorati,
il punto di incontro
di due corpi che si fondono
nella perfezione di un equilibrio
tra il dominio e l’accoglienza.
 
Anna Minicucci (Campobasso)
 
 
 
 
 
 
Tue le ombre ed il gioco dei gioielli
che pulsano fittizi e che si spengono
sulla tua pelle. Tue
 
le ombre e questa fragile
frangia di luce franta che si stende
sulle tue cosce. È di un alone appena
 
che il mio amore di te dunque s’incanta?
di una fata morgana,
di una finzione, di un’aerea danza
 
chiara ma vana?
 
Giangiacomo Amoretti (Genova)
 
 
 
 
 
 
Come schiara tra notte e notte, come
alona volti e corpi il desiderio
con la sua luce senza fiamma… Dura
inconsumata, inconsumabile.
 
Una mano che sfuma su una mano,
due labbra che si aprono, due palpebre…
Qualcosa che si cela, che affonda nell’oscuro –
che si schiude e risale – e si carica d’oro.
 
Giangiacomo Amoretti (Genova)
 
 
 
 
 
 
Haiku e Haiga
 
Unghie profonde
tatuano un amore
sulla mia schiena
 
Toni Piccini (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Un volo più alto
 
Se fossero le nostre labbra
un solo bacio
perpetrato all’infinito
un solo senso
cerchio perfetto
l’istante e il suo ritorno
perpetuo flusso
nel vibrare del silenzio
colto e poi donato il bacio
un volo più alto
generato da cenere e fiamma.
 
Fabia Ghenzovich (Venezia)
 
 
 
 
 
 
Dettato: d’amore e insonnia
 
In controllati veglia e sopore
assisto a un testardo sabotaggio
i miei sogni freddati da un ventilatore,
 
Penso ai tuoi riccioli,
alla pelle sbiadita che respingo su altre e adoro di te,
e il tuo odore s’insinua nello stomaco,
da sotto la pelle si alza in una torre imponente,
e tu zuppa di salsedine,
ululante lupa,
sei una collina che sfrega contro la terra
finché un fiume nasce che invade la pianura.
 
Non è tanto che il pensiero precede le azioni
quanto che le rimpiazza,
così che tutto ciò che rimane è uguale a schiuma,
non latte.
E latte sei tu, zucchero vorrei esserti dentro.
 
la mia bocca su di te
come un’edera rampicante,
le mani radici di quercia,
a tastare l’odore urbano tuo,
di città che si sveglia, di luci al neon,
l’odore di sale affumicato
che ha Via Roma la Domenica delle Palme.
 
Hai bevuto tutta l’acqua che aspettava in me
e ora la mia bocca è secca.
 
Non c’è molto che un uomo possa fare di notte
a parte essere un romanzo,
più sacro e meno mondano,
indifferente al vento e alle formiche.
in una notte come questa un uomo rimane lì
tra le cose che è e le cose che non sa essere,
le forme di sé splendenti e i riflessi di sé opachi
non ha sesso nelle notti così,
forse è questo che l’ha svegliato,
non il ventilatore,
non la collina,
non i riccioli sullo scalpo bianco.
 
perché l’odore?
quello esiste come guida, ci tiene per mano
e ci dice dove dovremmo osare domani.
 
Una sola bocca serve a un uomo
che lo guidi quando di notte è ostaggio,
di parole non dette,
di chi ancora non è,
di un ventilatore.
 
Vito Panico (Tricase, Lecce)
 
 
 
 
 
 
R
 
c’è un’anima in te e ci si entra da un gemito,
una scia di resina,
uguale in me.
 
ce ne siamo andati ognuno da sé,
preso a calci le poche parole
me ne sei andata.
abbiamo finto che dovesse esserci
un secondo atto, un coro che spiega,
condito il tempo con una fetta di triste pomodoro
per renderlo più umido e meno saporito.
Ora, case aperte di giorno,
sole sugli scogli,
tramonta.
Volevo solo riempire un’onda con un silenzio.
io volevo il buio della notte per sentirti respirare
ogni respiro preso per la gola prima che morisse.
io volevo essere stanco per le migliori ragioni,
volevo non volere.
 
lo sanno tutti che siamo assortiti male
ma il mio corpo disteso sul tuo
combaciano le curve
sembrano belli.
le molecole del mio sudore
legano alle tue senza linea di cucitura.
ma dovevamo parlarci come essere umani
avere interessi
mostrarci al mondo nei vari casi
di umori, tenere la mano dell’altra
come si tiene una pala di fico d’india.
 
volevo farlo senza che nessuno sapesse
a parte te.
 
ora per sgretolarti in sabbia
camminerò ogni giorno verso Leuca
e leccherò ogni pistillo di finocchio selvatico che incontro.
Vado, vengo.
 
Ascolta, inizia il patto di oblio
per il resto del tempo.
 
Vito Panico (Tricase, Lecce)
 
 
 
 
 
 
Bisbigli
 
Tu non sai quanto mi piaci bisbigli
mentre mi baci mi baci mi baci.
Così confuso da dolce affanno
sussurri sensuale “oh Bice sei fatale!”
Ed io che Bice non conosco
combattuta tra piacere rabbia e disgusto
per estrema rappresaglia ti chiamo
“Augusto!”
 
Fabia Ghenzovich (Venezia)
 
 
 
 
 
 
Icona vivente
 
Il tuo ritratto angelico
è un’icona vivente
che tace,
agita
il mare del mio cuore.
Le onde crescono,
spazzan tutto via,
travolgon la ragione.
Quanto vorrei baciare
le tue labbra
e poi, e poi
non mi dispiacerebbe
morire.
 
Arjan Kallço (Albania)
 
 
 
 
 
 
Il tuo seno
 
Sul tuo seno seducente
poserei il capo,
come in un’oasi di pace.
Lì riposerei un po’.
Ma non v’è certezza
che i balzi travolgenti
e i battiti del tuo cuore
me lo consentiranno.
 
Arjan Kallço (Albania)
 
 
 
 
 
 
Tu, statua dell’acropoli
 
Il tuo corpo perfetto
è una statua di marmo
delle silenziose donne dell’Acropoli.
Nude di fronte a te
provano vergogna.
Avrei voluto toccarlo
per sentire il calore.
Avrei voluto accarezzarlo
per sentire l’amore.
Ma il pensiero di brusco
è interrotto
dal maledetto squillo
del tuo cellulare.
 
Arjan Kallço (Albania)
 
 
 
 
 
 
Le gambe delle donne
 
Esaltanti d’Ercole colonne,
irraggiungibili confini
di un mondo sospirato,
in un paradiso immaginato
ombra di pini
sono le gambe delle donne.
 
Giacomo De Nuccio (Pisa)
 
 
 
 
 
 
Due amanti
 
Una goccia
trabocca dalle tue labbra dorate…
è il desiderio.
Finisco un pomeriggio vuoto
e colmo il sorriso delle mie voglie con te.
Opachi ombretti arridono sul tuo viso
però mi sfuggi ancora.
Ti cerco, mi avvicino
e resta
l’aria anonima che respira il nostro destino.
 
Milo Brafa (Ispica, Rg)
 
 
 
 
 
 
Medicina
 
Che io fossi il tuo tipo
si era capito da tempo.
La farmacia è aperta.
Compri delle cose.
È già tardi.
Sussulti d’amore svegliano la notte.
È poesia di sensi.
 
Milo Brafa (Ispica, Rg)
 
 
 
 
 
 
Busso alla tua porta.
Voglio passare una serata tranquilla
mentre sciogli i nodi della tua collana.
Entro
e tu con addosso il tuo solo gioiello.
Testuali parole: “siamo solo amici”.
 
Milo Brafa (Ispica, Rg)
 
 
 
 
 
 
Ma io non voglio essere l’arciere
Che ogni tiro fa centro,
Nè il principe o l’atleta che hanno doni
Straordinari.
È già abbastanza adesso essere me
Sopra di te.
 
Giovanna Capalbio Nuvoletti (Roma)
 
 
 
 
 
 
Si levano i tuoi fianchi
 
Sulla riva del mare
si levano i tuoi fianchi
al ritmo della lenta risacca
mattutina.
È la tua giovinezza
che muove nei miei occhi
una istintiva carezza.
 
Giacomo De Nuccio (Pisa)
 
 
 
 
 
 
Schiele
 
Mi vetrificarono
il dirupo delle cosce
la frana dei seni
di Schiele l’occhiopolvere
La pioggia scorticava Venezia
ammutiva le parole fradice
una vela sui tuoi fianchi
 
Martino Sgobba (Bari)
 
 
 
 
 
 
La terra in superficie
è secca e screpolata
Ma sotto è scura
e fresca – Vangami
 
Ripesca
 
il mio color di mora
e quel suadente odore
che in te s’incise come
un canto senza parole
 
Miriam Bruni (Bologna)
 
 
 
 
 
 
Mattini ti ho dato. Le essenze
dell’alba ho spremuto.
 
Per te ho custodito
ogni dolce meriggio fattosi scuro
e curato il tuo sorriso nel buio.
 
Clandestino calore, cantava
su panchine intrise di sole,
o stava tranquillo, seduto,
 
come accecato
dall’onda felice del mare.
 
Miriam Bruni (Bologna)
 
 
 
 
 
 
Dannate ragazzette – scherzo per l’ora dell’aperitivo
 
Una golosità senza nome senza pari
Dinamiche da aperitivo totalitario
Impallidiscono Tamerlano, Gengis Khan, tutta la genia dei razziatori d’ogni epoca e grado
“Arancia o limone?”
 
Perché
Con i soldi di papà fate shopping giù in città
Con i soldi di mammà vi vestite da rock star
Con i doni del “moroso” lo rendete assai geloso – coro: “illuso!”
Con gli spicci che do io vi ubriacate al posto mio
 
Dannate ragazzette
Una sete inestinguibile
Gole aride come solo il deserto del cuore, le vene di Lilith
 
Se… vi… va…
Un fiume carsico un ciclo astrale
Dominate dai pianeti
Furor di oroscopi distanti
Prendete tutto
E poi vi rituffate
Nei vostri reami azzurri in Atlantide
Ma solo per un po’
 
– “Et alors, monsieur?
A la guerre c’est comme à la guerre!”
La guerra – “arancio o limoneee?”
 
Et alors,
Adieu!
ou à la santé?
 
Alessandro Zanini (Padova)
 
 
 
 
 
 
P.P.P., ti scrivo…
 
Tutt’oggi che il sacro m’assedia.
Il corpo, su una pietra di dolore,
muta in tempio di carne violata.
Dodici vestali erigono una pira,
quattro legni, due chiodi, il candore
di una sfiorata resurrezione.
È il rito profano di chi ha il
sangue vuoto dell’innocenza,
la spalla erosa da una cinepresa
eretica. Filma il castigo di
borgate e bastioni cadenti,
come portare un feretro di
idealismo, il cui peso specifico
è dato dai sordi avanzi di realtà.
Siccome impervio come un gorgo
letale è redimere la fame sul
tuo dolce tumulo elegiaco che sa
d’Arcadia e aratri, e scolpite e
scure schiene sudate, la notte,
t’imploro, sfama[!] Colui che ombra
della Verità, (da te uccisa) sbrana.
 
Pierluigi Boccanfuso (San Giorgio Jonico, Ta)
 
 
 
 
 
 
Solo con lei nascevi, cessando
di interpretare una parte.
 
Nostalgia, furibonda nostalgia
per non essere più tua.
 
Perché sa che non li rivedrà
quei tuoi occhi di miele
 
di castagno. Che mai più sentirà
tra le dita quel tuo dono
 
trasparente e odoroso fino
all’alba seguente, né
 
quel dolce fuoco che la
lambiva dentro…
 
“Sei bellissima…!”, esclamavi.
Lei rideva mentre tu,
 
tu scavavi un continente nuovo
di delizia e felice abbandono.
 
Miriam Bruni (Bologna)
 
 
 
 
 
 
Nel tuo letto perdo la memoria,
uomo illegittimo in quella stanza,
fantasma nudo
fra le lenzuola ribelli.
 
amante
 
Sabino Muccilli (Torino)
 
 
 
 
 
 
Ventre
 
Sembra vuoto,
non c’è più,
Un pensiero di bambù.
Via la pelle
Arsa al sole,
E mi coloro
Del tuo odore.
Lento il vento
Scende e va,
Accende il fuoco,
brucia già.
Sono brividi d’amore.
Piango e godo
Sul tuo cuore.
 
Arianna Di Gennaro (Caserta)
 
 
 
 
 
 
Anima mundi 1
 
veloce soffia e cade
si rialza sul mare
scende sulla terra, arsa, devastata, muta
guerra, pace,
vergogna
non c’è bambino salvo
nel petto della madre annegata
col suo vento d’estate
con la sua vestaglia rosa
col suo canto di cigno
e il sole
resta
come un simulacro
incollato al tuo cielo bugiardo
alle tue ciglia finte
alle tue serate spente
al tuo grido di gabbiano,
albatros dell’Oceano
muovi le tue enormi ali
sul corso della vita esanime del fanciullo disperso,
in una guerra che non ha voluto e che non potrà mai capire
mentre le stelle
esplodono da milioni di anni
lasciando che la loro polvere
copra la mia anima
che anela la luce
infinito…
 
Ugo Arioti (Palermo)
 
 
 
 
 
 
Rimembro ancora
 
Tra le pieghe d’un lenzuolo
agonizzo priva della tua essenza,
sono come un naufrago gettato nel mare,
nel gelido dirupo dell’abbandono.
 
Eppure
c’era un giorno quel tempo d’ardore
colmo di gemiti del nostro approccio,
avvolto negli spasmi d’un folle orgasmo
esploso tra le langhe del candido ventre.
 
Rimembro ancora quel dolce peccato
condannata all’inferno della tua assenza.
 
IzabellaTeresa Kostka (Milano)
 
 
 
 
 
 
Un gigolò
 
Ti guardo dormiente, un dio al mio fianco,
un perfetto estraneo pagato per godere.
Ritrovo ancora la passata lussuria
tra rughe del letto e pieghe della carne.
 
Stanotte sono la tua regina,
illusa da questo folle amplesso,
sconfitta preda della vecchiaia,
lodata, distesa sul falso altare.
 
Mi sazio al buio di ogni bugia,
di finto sorriso privo d’affetto,
annaffio le membra sfiorite nel tempo
col giovane essenza succhiata per ore.
 
Ti osservo bizzarro nel tuo potere,
il Joker vincente, maestro d’inganno,
l’ultimo peccato del freddo autunno,
il crudele padrone dell’appassire.
 
IzabellaTeresa Kostka (Milano)
 
 
 
 
 
 
geometria del pieno
 
scende scende o forse sale… – dopo mille volte – è meraviglia
l’architrave che sostiene la determinata esposizione dell’arsenale
femmina e scende, stavolta scende, lungo i pendii il brillante degli occhi
a consultare il perimetro attorno al capitello vivo d’ombre e chiaroscuri
 
stretta cuspide che raggiunge il miracolo dei numeri e viscerali sensi
previsto imprevedibile che, veloce, assale l’armonia e riporta rami antichi
attorcigliata edera a risalire il tempio orizzontale
sapori d’erba e sangue sulle mani di fango che ti hanno fatta vera
 
Sebastiano A. Patanè-Ferro (Catania)
 
 
 
 
 
 
Codici
 
Coi tuoi codici di sguardi appena rilassata cima del green house
mi schianti contro tutti i compromessi le schermature i campi
magnetici dei bottoni a mezzoseno nell’andirivieni delle congetture
 
Mi vincerà di certo la piena dei perimetri
e le idee degli occhi indagano
la curva della schiena sotto la vertigine
 
Crescono e s’affrettano le zone da scartare dove non reggi il passo
e lasci che t’invada la memoria Quello che ferma il transito
delle parole piene accanto ai paraventi e la nascente smania per l’ultimo puntino
 
berrai un rosso oppure cosa
 
Sebastiano A. Patanè-Ferro (Catania)
 
 
 
 
 
 
Carne mia
 
Guardi. Io ti guardo che t’avvampi
seno di terra e acqua. Vaso
Sotto la gonna i sensi radunati
 
Preso d’assalto afferro il tono, a mez-
zocielo quasi volessi disgregare
le misure e il fondo
 
Dimmi. Ti dico t’amo giglio e carne
mia
 
Prendimi nel tema
disordinata lacrima e
cogli dall’impasto le distanze
 
Stringi
 
Bisbiglio peristaltico e
bacio d’uva matura
seno di rovere, compagna
d’altro cielo
 
camminatoio d’anima
lasciami passare…
 
Ti dico. Dimmi quando il giglio
spezza i bianchi
colore crudo della mia bocca
 
Dimmi
 
Sebastiano A. Patanè-Ferro (Catania)
 
 
 
 
 
 
Il respiro del fuoco
 
Vestita da un soffio di vento
sinuosa di desiderio
lo condusse sotto il suo ventre.
 
Ogni brivido
lento scendeva sui fianchi
e accese le bocche impazienti,
 
scivolò sulle guance
un abile gesto d’amante
e gli occhi storditi furono pronti
a non far respirare
nemmeno un frammento di pelle.
 
… bastò un istante
leschienecurvate, lelabbrabagnate
… letesteinclinate…
 
e nello spazio di un niente
ci fu solo il tempo
per ingoiare il respiro del fuoco.
 
Annalisa Salvador (Concordia Sagittaria, Ve)
 
 
 
 
 
 
Ti vorrei
 
Ti vorrei
come olio
che accarezza
la mia pelle
con parsimonia
arriva e cura
il mio intimo incavo
e sprofonda virtuosamente
nel corpo, nella mente.
 
Valentina Carinato (Loria)
 
 
 
 
 
 
Eppur ardo
 
Eppur ardo
logorata dal fuoco della tua presenza,
arresa, distesa all’ordine del desio,
folgorata di notte dal potere d’orgasmo.
 
Tu sei il mio profeta
venerato con gemiti nel tempio dell’Eros,
l’inizio del tutto nella culla del ventre,
il sacro e il profano di ogni piacere.
 
Sorseggia il mio sangue
fino all’ultima goccia del puro calore.
 
IzabellaTeresa Kostka (Milano)
 
 
 
 
 
 
Pellegrinaggi
 
Lini di pomice,
guanciali fossili,
eppure, il talamo,
una serica coltre
di rose,
schiuse, inebrianti.
Indelebile, inobliabile
Verona…
 
Isabella Scotti (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
Ora
 
E scivolo nel silenzio
ora
mentre la luna mi culla
ora
mentre il sonno si allunga
sulla tua nuda schiena.
 
Mi nutrirò ancora
dei tuoi sussurri invisibili,
degli incalzanti battiti
di quell’insaziabile Cuore
che non ha pace
finché non raggiunge il mio nome.
 
E mi avvolgo di luce
mentre ascolto il buio,
 
mentre appoggio il capo
sulle tue ruvide mani.
 
Annalisa Salvador (Concordia Sagittaria, Ve)
 
 
 
 
 
 
Noi
 
Rincorro la strada,
Non voglio aspettare,
Ogni attimo,
Ancora,
E ti vengo a cercare.
 
Io ti osservo,
E mi scruto,
E contemplo i tuoi passi,
Sperando che cada
Sulla via, qualche sasso.
 
E lo prendo,
E lo accolgo,
Lo trasformo in errore,
Che giammai fu compiuto,
Se non per amore.
 
Arianna Di Gennaro (Caserta)
 
 
 
 
 
 
Haiku (due)
 
Eros, Thanatos –
menti incatenate
e scrigni di sperma
 
Toni Piccini (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Il pegno
 
Voluttà zoppa,
racchiusa nel tacco di
stampella;
al ghigno
la goccia,
la sola vera.
Batte e s’abbatte
sul femminino metafisico:
tirannico tassello d’acciaio
ottura
il suo polmone.
Morde, graffia, insulta.
Vessillo di quell’unico
umido
pagherà pegno:
“Che ripassi dal Via!”
 
Sara Jay De Rosa (Crispiano, Ta)
 
 
 
 
 
 
Haiku (3)
 
Le dita stringono
le lenzuola… lei
dimentica ogni cosa
 
Toni Piccini (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Atlante
 
Ho arcipelaghi
disseminati sulla pelle,
dissimulati
da nebulose foschie.
Ho geografie
inviolate,
ignote, inesplorate.
E Livingstone?
In pensione, presumo.
 
Isabella Scotti (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
Carso
 
Gli anfiteatri dei miei seni
sono gremiti di passione.
Rabbiosamente
mi scavo dentro
un novello Carso.
 
Isabella Scotti (Pordenone)
 
 
 
 
 
 
Senti, dai, me lo offri un caffè?
Magari in una sala da tè
con il tavolo che dà su un paesaggio straniero
che mi sa di più invitante
che mi sa di più vero
Magari shakerato
con due cubetti di ghiaccio
ci aggiungo anche due dita di panna
che faccia schiuma, ma tanta schiuma,
come su di una nuvola
Mi metto pure una gonna
sopra la cortina del ginocchio,
o ancora più corta,
che ti mostri in parte la mia incoscienza
che ti mozzi il fiato
che ti faccia contento
Poi sorseggiamo con calma
il gusto accattivante della primavera
che irrefrenabile avanza
senza farsi attendere tanto
sui davanzali traboccanti dei nostri corpi
e che ci scompiglia le teste
Lei si che se ne intende
di venti penetranti e di rapidi cambiamenti
tutti gli anni insegna agli uccelli appollaiati sulle punte
a gorgheggiare una romanza
con erotici passaggi di colore tra le piume socchiuse
Uno di loro si deve essere annidato
tra le ramificazioni delle mie arterie
Lo senti cantare?
Chissà cosa ci vuole dire
Chissà cosa ci vuole…
 
Laura De Beni (Verona)
 
 
 
 
 
 
Amanti
 
passione
accorata e feriale
gioco di morsi
pelle e saliva
 
favola scritta in corsivo
giù per la schiena
 
con la lingua piena
di virgole
e punti interrogativi
 
Donatella D’Angelo (Milano)
 
 
 
 
 
 
Grumo di salina
 
È lento impasto di umido pane e polpa
mentre assaporo il senso del denso
imparo che sai disossarmi tutta
con un dito intinto, tutta intera.
Così la mia lingua lumaca ha foglie umide
su cui scivolare pigra, mortalmente esatta.
La tua bocca è caverna, mosto di vino-vischio
anfratto molle popolato da un geco rosso
guizzo di pori schiusi e capo tondo che oscilla
E quando mi libera la mandibola esausta
la scia di bava è profumata, la traccia è spessa
io sdrucciolo odorando, bevono pelle le mie antenne
fino al cratere della luna polveroso e caldo
rifugio al mio strisciare d’ansimo sfiancato.
Crollo in quel nodo, cerchio di fuoco esatto
vorticosa giostro il bordo del tuo ventre teso
in cui ostinata vorrei trovare varco.
E poiché questo è negato, per questo fremo
per questo rantolo sussurro e grido.
Saprò la grotta del tuo corpo, tiepido sale
quando sgorghi iridescente e pieno
mi fai spiaggia, si ritira l’onda
mi rendi labbra e ventre
arabesco, grumo di salina.
 
Serena Castro (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Preliminari
 
Ben oltre ai girotondi preliminari
al ristorante sediamo contrapposti
tu svelli ostriche e carapaci
e succhi fissandomi molluschi
nondimeno
io afferro a piene mani e mordo
un gonfio calamaro ripieno.
 
Serena Castro (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Ed entrare nella casa dopo avere
bussato tre volte. Vieni
fa lei con voce docile. Accompagna
fino al fondo per svelare
dove la cucina, dove il corridoio
che porta nello studio, dove
nasconde le camere in cui legge.
Tutto è così uguale e sconosciuto.
È una casa come tante, perchè
te ne meravigli tanto?
fa lei
con voce che sembra già lontana.
La sera arriva come un brindisi
alla fine di un silenzio. È il saluto
di una casa che ci ha curato.
 
Alessandro Canzian (Maniago, Pn)
 
 
 
 
 
 
[…] E quell’aria che ti attraversa lo sguardo,
quel morbido riflesso di piacere che disserra le labbra;
e poi il vuoto assoluto ansimante sul corpo […]
 
Potessi carezzarti l’anima senza perdere la mia.
 
(Frammento di piacere)
 
Diego Baldassarre (Firenze)
 
 
 
 
 
 
Irina liquefatta
danza nella pioggia.
 
Riflessi
milioni di cani verdi
echi sbavati
di latrati languidi
pozzanghere di mani
nel fiume tra le cosce.
 
Monica Guerra (Faenza)
 
 
 
 
 
 
Irina
 
Dai labirinti lividi
dalle balze di una notte in ghingheri
dall’illune mercato mascherato
dal fiato rancido che miete il sonno
t’avrei pure tratta in salvo
da quel non luogo
dal gonfiore informe di spergiuri
dal miasma delle cimici
dalle intermittenti moltitudini
 
il tuo succo docile
la scia d’un petalo lunare
dentro il mio palmo della mano
a innalzarti d’un palmo
appena di una mano
t’avrei pure tratta in salvo
mentre inane
lungo il labbro
scivolavo.
 
Monica Guerra (Faenza)
 
 
 
 
 
 
Labyris
 
Quali i fiotti di perle
e latte il tuo seno
quali oblique bianche
ferite ferendo bevevo
e incline mi ferivo.
 
Monica Guerra (Faenza)
 
 
 
 
 
 
Alfabeto morsi
 
È questo odore
lievito madre vinforte che inasprisce
Fermento ruggine di mela
Glucide grezzo bagnato nel sale
odore odore acre asprigno odore
Tostatura di semi e umida torba, nuova.
Pescata di fresco
pioggia su piscio
aria di mezzogiorno in estate
senza rantoli, scarichi asfittici
Odore odore lucido, agglutinato odore
Olio di oliva, oliva calda
tra le gambe
calda cialda
Avanti, digrigna un mantra,
un alfabeto morsi
e carezze
primitivo profondo
risonanza senza calibro
senza calibro l’urlo.
È questo odore
come frana di sterco dal cielo
che ci danna, ci perde
Fiutiamo ben lontani dal senno
Il pollone greve di aromi, tormentati
senza muovere parole per dire
l’odore del penetrare
l’odore dell’essere penetrati.
 
Serena Castro (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Corpi nella notte
 
Corpi distesi
sulla schiena della notte
chiusi in un alveare
di sogni proibiti
profumati di umori
sfavillanti
esplorano rotte
sconosciute
in un turbinio confuso
di pensieri.
Dita di stelle
sfiorano sinuosi orizzonti
imprimono il segno
di una maledizione
nei cuori incantati
al limite di un burrone.
Quando l’alba
corrompe la notte
resta una sottile
pellicola luminosa
sulla carne
dolcemente sgualcita
si dissolve il sogno
che per un attimo
aveva sostato sulla riva
delle palpebre
insieme al profumo
amaro del gelsomino
non più schiuso.
 
Loredana Borghetto (Sedico, Bl)
 
 
 
 
 
 
Colore… calore
 
Penso a te…
Ti ritrovo nei pensieri
nei desideri
desideri…di mani
che accarezzano la schiena.
 
Di vestiti che scendono
piano piano
scoprendo con dolcezza
il desiderio…
 
Di respiri forti
e sempre più intensi
da sembrar mulini a vento
e vento tra i capelli
e capelli tra le mani…
 
Desideri di corpi
che si strusciano emanando
sempre più calore
di calore che diventa colore
colore rosso di desiderio.
 
Di corpi desiderosi
che si uniscono
accesi di fuoco
che si placa
ancora con l’acqua e con l’amore.
 
Lisa Dalla Francesca (Sacile)
 
 
 
 
 
 
La resa
 
Sbatte
e ancora
l’onda alla risacca
Il sale alle labbra
e non solo
Il nero graffiato
nell’ombra
ghigliottinato alla mano
L’alba agli occhi
strozza il grido
Il sussulto
è la resa.
 
Maria Marangi (Crispiano, Ta)
 
 
 
 
 
 
È nella morbidezza della sera
che vagano i pensieri.
Sanno di frutti rossi
e profumo di pelle.
E tra un seno e una fragola
vi è la lentezza
di un dolce morire.
Ho del rosso cremisi addosso.
Lo sapevi?
Si vive, nei sogni.
 
Luciana Luzi (Macerata)
 
 
 
 
 
 
Trasporto
 
La passione mi travolge
nel donarmi a te
nel trasporto esaltante
che le tue mani sapienti procurano
in tutti i punti del mio corpo.
La mia pelle sensibile
assorbe i tuoi tocchi
e il piacere si esalta
con il tuo alito caldo.
 
Lascio il mio corpo
libero di godere di te
niente barriere, niente rifiuti.
Mi sento liquida come un’onda che mi avvolge
mi trasporta nel punto più alto
deponendomi poi sulla spiaggia scaldata dal sole
dove mi abbandono appagata
con te su di me
con te in me
con te per sempre.
 
Fiorella Sabadin (Trieste)
 
 
 
 
 
 
Il passo dell’amore
 
Cavalco le tue rughe,
le mie senza pena accarezzi.
In ognuna si perde
il dolore
della vita che troppo in fretta
corre
e ancora ci sorprende
in questi incauti guizzi
di felicità.
Se negato è il galoppo,
dolce nel tuo sorriso si stende
senza vergogna il passo
della senilità.
 
Giacomo De Nuccio (Pisa)
 
 
 
 
 
 
Potrei incantarmi se mi fermo
percependo le mie labbra sulla tua pelle e
imprimere un attimo eterno
a osservare la foglia scivolare
lungo tutta la lunghezza di un brivido
lungo tutta una strada da andare
da percorrere assieme, se alzi lo sguardo
mi vedi veramente? Io che mi affido.
O è solo l’apparire che ti interessa?
Se essere donna mi azzardo
in questo istante di aria chiara
che di luna ci immerge
potrei donarmi tra la piega
di due dita o del fianco
entrarvi nel contatto trasceso,
qui dove sono, lontana dal branco
senza sapere il limite,
senza sapere il dono
tagliare un pezzettino di me, a me
cosa lasci, cosa mi rimane di te
se solo mi lasciassi un lembo della
tua pelle
potrei finalmente dissolvermi
contro la notte
e non sembra neanche mia
questa onda rumorosa che si sente
ha una bellezza tragica in questo amare.
 
Rita Gusso (San Vito al Tagliamento, Pn)
 
 
 
 
 
 
Le mie mani
sono oceani sulla tua pelle,
perso il mio respiro
nelle profondità delle tue gambe,
guardo te
presenziare su di me
nuda come la luna,
insieme scontriamo
i nostri ventri,
ti lasci condurre
esattamente come vuoi tu
mentre con le dita
sfiori le linee dure del mio petto.
 
Sabino Muccilli (Torino)
 
 
 
 
 
 
Se posi la mano
sul mio ombelico,
forse potrò ascoltare
le voci di ciniglia,
la soffice spuma
tra l’eco delle tue dita,
quel canto che ti piace e
ti arriccia tutt’intorno,
ma prima di allora quando
entrerai a cardarmi il cuore,
il tuo amore poserai
sulla sedia così che
quando te ne andrai
potrò ancora indossare
quel tuo calore.
 
Rita Gusso (San Vito al Tagliamento, Pn)
 
 
 
 
 
 
Sottopelle stanotte
 
A chi importerà di noi
che ci stringiamo per le ciglia
dispersi nel talco del nostro respiro?
Sono io? O è il tuo pegno
di oro o di soffio che si compie
in una filastrocca nuda
di trastullo e pazzia?
Con un cucchiaio di luna
segno, sottopelle stanotte
l’arrendersi di ogni bugia,
dallo svolgere del fiato
un vociare di germogli
a sfiorare
i pensieri dalle dita,
a slegare
la vita dai pensieri,
sfilando
istanti che distillano pioggia
ed inarcare di luce
 
sottopelle stanotte.
 
Rita Gusso (San Vito al Tagliamento, Pn)
 
 
 
 
 
 
Ti ho creduto
tra il sonno e
il mare dentro
le mie rotte.
 
Ti ho pensato
trafitto dalle mie
dita in posizione
fetale teneramente.
 
Ti ho visto eretto
moltiplicare la carne
appoggiato al muro
uragano del materasso.
 
Ti ho messo nella
danza celebrale che
pompa sangue e lecca
il corridoio dell’ano.
 
Ti cavalco e sibilo.
Godi e piangi.
 
Lucilla Gori (Arezzo)
 
 
 
 
 
 
Ho un solo corpo per l’amore
 
Ho un solo corpo per l’amore,
che si sveste di giorno,
con le finestre velate.
Ho solo un corpo ma ne vorrei mille,
ne vorrei uno gentile,
uno delicato e ingenuo
e uno nuovo,
controcanto alle mie terre dissodate.
Ho un corpo a disposizione che sente ogni virgola,
che vibra dolente, e smette di respirare,
il mio è un corpo per ogni occasione,
le lingue sferruzzano sui suoi lembi,
padrone dispongono,
elevano gemiti,
le mani sorpassano le linee,
graffiano, annodano le vesti,
scuotono le carni,
e non sanno che il mio corpo non risuona,
non scorre neanche una goccia di miele,
né corre acqua sul mio seno,
dalla mia fronte scivola un diamante,
il mio corpo si arrende per ore,
e mentre sfilano buoni soldati,
mi attraversano ricordi
come lame che fendono dritte,
appassiti declinano
da una donna che è sola.
Mi è nemico il corpo ad ogni buon conto,
ricorda solo quello che vuole…
come i tuoi scarni movimenti,
la corda di desiderio che mi hai messo alla vita,
la saliva sospesa in gola,
il tuo muto andare di certezza in certezza
nella mappa feconda del mio ventre, e l’amore
che mi ha resa vergine.
 
Antonia Santopietro (Verbania)
 
 
 
 
 
 
Dipingimi
 
Dipingimi prima che diventi giorno,
prima che la luce rischiari
le mie curve sottili
distruggendo la magia
del tuo sguardo notturno,
anelante amore e tremori
sulla mia innocente pelle di luna.
Traccia sulla tua tela
la mia malinconia,
denudami con i tuoi occhi vellutati
e distruggi questo mio cuore innamorato.
Mi offro a te come rossa ciliegia
pronta a ricevere i tuoi denti.
Non ti avvicini più a me,
mi sfumi con il tuo pennello,
mi baci donandomi luce,
mi parli con le tue pupille
e mi ami regalandomi colori.
Mi vuoi con le tue parole
che come sguardi alimentano
la mia anima in bilico.
 
Tristezza è non poter amarti
 
Elisabetta Bagli (Roma)
 
 
 
 
 
 
A portrait, because he loved me
 
Legs
Thin bones
The weightless animal he was
And
In spite of his athletics
He remained
A flamingo cautiously treading on ground
A flying machine
Confined on earth
Fragile on it
Maybe
 
Mouth
Every kiss
Is a kiss
Long-teethed soft lips
Do it better
 
Hands
The grabbing touch of a virile yearning with a delicacy spreading out of nerves unused to comfort
Cleverly moving hands are clever hands. Clever hands seek digging spots. Clever hands dig gently.
Clever hands are erotic hands.
Clever erotic hands speak for themselves.
They do.
 
The language he speaks, his parole
Practical jokes, ambiguity, solemn laughs
So as to build a bridge
Between words and the body of this something
The beast
On the back of which we travel through life
 
Words alone are boring, so we have images to describe, instead.
Silhouettes of actions
Sometimes beautifully arranged in a short cut film
That he can do, for you, by speaking
Nothing special, but a peculiar skill
Of switching protocols
And avoiding common-places, but not all
 
Registers are for sure perceived
As the memory of an obsolete hierarchy
a flair of the well-educated boy
In him is always present
 
And
He always pays his tribute
To classical Eros
He knows
How strange creatures women can become, in the wild
 
– All nurses are bitches all bitches are nurses
– Ah! a little dirty?
– Maybe
 
Eyes
The kind of adult looks
Out of which
He circumnavigates the on-going theatre
Sometimes so steady
Sometimes a little uncertain
Are, some other times, a trial-and-error sort of test
They explore worlds
And finally
Here it comes
Springing from the corners
The wild shine
The double flash
Of cold
White
Raw
Light
The perfectly focused eyes of the former beast, when hunting.
 
Eleonora Gregorat (Cervignano del Friuli)
 
 
 
 
 
 
Inedito vermiglio XVIII
 
È un incontro lento delle punte di lingua,
una simmetria delle nostre dita,
un ricomporre un’unione primordiale,
una carne in vibrazione,
un’estensione d’uomo
nella composizione di curve senza confini,
dove il tempo in dilatazione
si annulla per originare vita;
è un collimare di baci
tra bocche umide di ricerca e sudore,
un sarchiare una terra in dischiudimento
a plasmare di due metà un sogno,
l’infinito morbido d’un istante
che ci risucchia in dissetamento della nostra arsura senza ombre,
dove la bitta raccoglie il domani
a nominare la nostra libertà;
è il compimento che innalza la sua fiamma
in scintille di lava che mordono
a bruciare le orme
e tagliare l’aria pregna di mezzelune d’aliti,
[ancora ancora,
è un tripudio di spuma di mare,
un infrangersi ripetuto e selvaggio di onde,
una bocca indefinita dove batte un cuore doppio,
[ancora,
sudore e rugiada,
lenzuola nude,
ogni senso, nel suo schiudersi, satollo,
sul carbone dei nomi;
restano le nostre lingue esauste
a sussurrare quella parola
prima di ritirarsi tra le braccia dell’altro,
[e l’ultimo ancora.
 
Davide Rocco Colacrai (Terranuova Bracciolini, Arezzo)
 
 
 
 
 
 
La danza
 
Danzerò nuda per te
alla luce del fuoco di luglio,
brucerò tutto intorno al tuo corpo
la magia del nostro primo momento,
incontrerò il tuo sguardo fugace
e sentirai scoppiarmi l’incendio.
 
Abbandònati al mio gioco d’amore
e avvicinati a me lentamente,
accarezza le mie fiamme roventi
sciogliendo il ghiaccio fondente,
come un ruscello d’acqua pura
asciugato dalle tue lingue di fuoco.
 
Non parlare, non proferir parola.
Amor mio, sfiderò il mondo intero
intrecciando le mie gambe alle tue,
introducendo in ogni mio poro
il tuo odore e il tuo dolce sapore.
 
Tra il fuoco e il ghiaccio,
ti farò mio.
Tra il fuoco e il ghiaccio,
per sempre mio.
 
Elisabetta Bagli (Roma)
 
 
 
 
 
 
Allo specchio
 
Le tue mani nomadi
cingono la mia vita
scivolando lungo pianure,
risalendo irte montagne,
perdendosi in boschi sconosciuti,
alla caccia della rosa scarlatta.
Occhi riflessi negli occhi
nell’incantesimo del nostro lago.
Acque ardenti allo specchio,
sguardi e sorrisi tremanti.
Respiri accordi e lingue armoniose
intrecciano melodie
sulle tue dita tra i miei capelli.
Il mio capo è reclinato alla tua volontà.
Perle umide scendono
complici sul mio seno
innanzi allo specchio
custode del nostro segreto
 
Elisabetta Bagli (Roma)
 
 
 
 
 
 
Seduto sulle rotondità
io china appallottolata
so di proiettile del tuo
profondo io che sfonda
il tunnel degli odori e
tieni gli occhi sulle mani
trattenendo i capezzoli
mordi la nuca ed i respiri
bruciano ogni spinta del
fiume che con la lingua
mi porterai da bere ed
ingoiare e… sorridimi
 
Lucilla Gori (Arezzo)
 
 
 
 
 
 
Seni e Coseni
 
Ho una carezza
tra le tue mani.
Un bacio tra i capelli.
Il tuo profumo
sul mio corpo.
Il mio sguardo sul tuo viso.
Le tue labbra
dentro di me.
 
Nel mio cuore tu.
 
Claudio Moras (Porcia, Pn)
 
 
 
 
 
 
Pelle sana
 
Organo flessuoso
di elastica evoluzione
ricopre ogni spazio
di protettiva funzione
 
Morbido guanto
di sapori ancestrali
racchiude scheletri
di sogni animali
 
Svela e rivela
esantemi d’imbarazzi
smascherando segreti
di pensieri amatori
 
Degli odori
è la padrona incontrastata
coi profumi
la diva imbellettata
 
Emana stimoli sensori
di chimica e passioni
 
Negli anfratti
come guaina
si riveste
di liquidi tepori
 
In essa
del desiderio
trovi la ragione
 
Simona Scudeller (Pisa)
 
 
 
 
 
 
Un qualche amore
 
sull’anima disastrata dalla mia morale
passeggi col tuo seno, il tuo pube e i tuoi baci,
lascio allora alle mie percosse membra accendersi
per cogliere tutte le tue sensazioni su questo corpo.
 
I nostri umori sono refrigerio
a tutto il bollore che avvolge
nel sudario dei nostri piaceri
i nostri desiderosi corpi.
 
I nostri cuori posano le pulsioni
su tutte le nostre umide labbra
liberando le grida del nostro amore.
 
E le anime inesorabilmente avvinghiate
sollevate sono da tutta la desolazione
delle incalcolabili oppressioni morali.
 
Claudio Moras (Porcia)
 
 
 
 
 
 
Ti avvinghio i polsi,
stretta.
Lungo la dorsale del piacere
respiro i rantoli del tuo io
soffocato dall’amor proprio.
Schivi lo sguardo,
mille e più volte quelle lame
hanno tagliato il cuore.
Mi cospargo di lacrime sorde,
incontro una pelle che fa scudo al mio dolore.
Sulle onde nere di un mare senza fine
cerco invano consolazione alle mie paure.
Un attimo
poi la fine.
 
Vito Di Giorgio (Portogruaro)
 
 
 
 
 
 
La sera prima
ed è ancora lì
sulla sua gruccia
quel lungo abito
nero, che tanto ti piaceva,
di speciale nulla,
se non quel profondo taglio
dietro, che ad ogni piccolo
movimento si apriva,
te lo ricordi vero
quanto abbiamo riso
al mare poi, sulla sabbia
calda, io, sempre supina
non l’avevo più messo
nella valigia, la sera prima,
quando il gatto mi saltò
inopinatamente sulla schiena
 
Maria Milena Priviero (Pn)
 
 
 
 
 
 
poe2_1024_x_768
 
 
 
 
 
 
 
 

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