Alessandro Bergonzoni pubblica nel 2013, con Garzanti Editore, il suo primo libro di poesia: L’amorte. In realtà posto che siamo pieni di non-poeti che si improvvisano poeti all’uso, o scrittori alla necessità, bisogna riconoscere a Bergonzoni il merito di aver intitolato un suo evento: C’è poesia, poesia e poesia. Lettore che vuoi riconoscerti in quello che leggi, resta a casa (Festivaletteratura 2013).
Perchè quel restare a casa è il totalmente opposto dello starci dentro a tutti i costi che permea un po’ tutti gli ambiti del nostro vivere sociale (politica, letteratura, lavoro). Un restare a casa che è la consapevolezza ironica quanto drammatica che la vita è fatta di fratture, perdite, malattie, vuoti. In un testo dice: Ho avuto la custodia di mia figlia, / ma dentro lei non c’era. / È finito il tempo dei custodi. O ancora: Consapevole / di quanta vitalità ci sia / anche se in estinzione. O ancora: Non importa più perchè o chi: / voglio concentrarmi / sul vuoto delle braccia.
Una poesia amara ma forte, di ricerca non letteraria ma dell’altro, della relazione umana nella sua totalità, nella sua assurdità. Una poesia/strumento che come un’antenna capta frequenze che servono alla persona a rendersi conto di dov’è, di cos’è. O come dice lo stesso Bergonzoni: Allora direi alchemioterapia, cambiare alchimia, modificare le sostanze, la materia prima, e l’anima poi; meno citazioni, meno capipopolo, meno miti (che sono molto miti), meno medaglie! Vogliamo un nuovo petto con quello che c’è dentro. Ecco il nuovo ritrovato, siamo noi il nuovo ritrovato, basta esempi, noi siamo l’esempio. Piangere sul latte versato? No, cambiamo mucche.
Una poesia di rincorsa delle parole, che si spezzano, che si legano, si fondono in forme assurde quali il titolo stesso che è come un’installazione artistica che per voler dire tutto alla fine si rende conto non tanto che non dice niente, quanto che non c’è niente da dire. Non c’è niente da fare. E che questo è il punto di partenza e di svolta. Ed è il libro di poesia non scritto che nel fondo di L’amorte Bergonzoni cerca e chiama.
Un libro non scritto, una poesia non scritta, una vita non vissuta che chiama a gran voce il bisogno d’essere scritta, d’essere vissuta. Una poesia che chiama l’azione, non solo letteraria ma sociale. Una poesia che critica paradossalmente le unità di misura a cui siamo abituati per cambiare le carte nel mazzo, cambiare le parole, renderle paradossali e per questo paradossalmente più pungenti.
Una poesia di un non-poeta che cerca la non-parola, la non-vita. Poi sta al lettore non tanto riconoscersi quanto riconoscerla. Senza pretese letterarie: È la carne / che ci mangia… / Incartami l’urlo / che lo faccio a casa. / Dolore da asporto.
Lasceresti solo un calabrone
l’ultima ora della sua vita
se sapessi che ha volato ottanta ore ininterrotte
per poter morire proprio vicino a te?
Se si,
io voglio diventare quel calabrone
se no,
diventa tu quel calabrone
e volerò io da te.
La terra,
che sarà mangiata dalla terra
cannibale quanto basta
mangiatrice di uomini,
ha sete.
Da quando sparo
a quando sei colpito,
posso:
io pentirmi
tu ritenerlo giusto.
Subito dopo
quello che cambia
dipende dal nulla.
Altri fori
di cui avrei bisogno
attendo.
Più che in natura
direi immensamente.
Con una mano
afferra il bambino
i piedi tengono fermo il pesce
con cui ha viaggiato tutta la notte
con l’altra mano batte il tamburo
che il bambino ha suonato tutta la vita.
Consapevole
di quanta vitalità ci sia
anche se in estinzione.
Così
come lo scarabocchio
rappresenta l’infinito represso,
anche l’orizzonte
è stato scelto
tra milioni di righe.
Direi quel che consiglia l’eco
equivale a scrivere quel che vuole la mano.
È la carne
che ci mangia…
Incartami l’urlo
che lo faccio a casa.
Dolore da asporto.
Quel tumore ha un uomo.
Alla sua destra,
lei:
la prima volta.
Ci mancano lenzuola
non corpi
pelle
non tagli
varchi
non gente
zolle
non confini.
A vostra disposizione
cose dell’altro mondo,
ma in questo.
E viceversa?
Dorme
sotto le lenzuola che mancano.
Dubito che la caccia al dorso
si concluda con un solo colpo alle spalle…
Ho il timore
che centri anche l’anomalia divina
che accompagna chi spira
accanto alle scuse porte.
Se bastasse rallentare
per notare che a passare sono i panorami,
il treno
avrebbe inventato l’uomo.
Mi accompagni in bagno?
Non puoi andarci da solo?
Mi sto preparando per quando sarò paralizzato…
Mi accompagni o no?
No, mi sto preparando per quando sarò sorda…
Chi ti ha macellato ha tenuto le piume.
Amor scarto
a letto coi soprusi
arato con le unghie,
io vado all’ammasso
strofinando le cosce
per sentirmi inseguito
e rabbrividire.
Tema:
la brama.
Le donne piante
la geometria del chiudersi
una calza sul volto,
per sembrare una gamba,
le sei dei pomeriggi
bocche come reperto
mani stigmatizzate
il dato in pasto ai leoni
la clausura
l’usura
la statua di un crollo
un petalo per temporeggiare
la giovane scala
che vede nascere il primo gradino.
La condizione
sa di non essere una sola
quando tutto si avvera.
Il fumo
prende più decisioni
di un esercito.
È forbito
inconsapevole perenne,
laido.
Cerchiamo sopra le macerie
potrebbe esserci qualcuno ancora vivo.
Una gabbia per il pollice
una per l’indice
l’altra per il mignolo
una per l’anulare e il medio:
sapremo se per suicidarsi
gli uomini servono
o il rinchiudersi sia violento
indipendentemente.
Perchè non ci sono posti dove andare
ma solo gente da salvare,
perchè impiccano
chiunque non sappia dondolare.
Da qui
si vede il male.
So di te
ma non è conoscenza,
solo odore.
La responsabilità di quelle torture
fu anche la tenerezza:
non si fece nemmeno vedere.
È la fatalità del fulmine
quella che costringe il fulminato
a ringraziar lo storpio
per non averlo illuso
quando passava,
inosservato,
dalla condizione di infuocato
a quella di spento per sempre.
Il lavoro di una vita?
Passare noi.
Ho avuto la custodia di mia figlia,
ma dentro lei non c’era.
È finito il tempo dei custodi.
C’è solo quello degli angeli delle rocce
che han cambiato sasso.
Una cosa potete ancora fare:
asportare l’invidia
e donarla ai gelosi del trapianto.
I peccati giusti esistono.
Grazie di assistere.
Madre perchè si nasce?
Doveri dell’alba.
Le cicatrici
che son fatte di tanti piccoli segni meno,
con l’andar degli anni
non van più via.
Rivoglio indietro le mie orme
o assalirò la pochezza.
Dimmi dell’incluso:
è davvero così amato dal tutto?
E se l’infinito fosse solo la metà?
Per quanto riguarda la morte procurata
penso non si tratti d’altro
che di manutenzione al contrario.
Strappato dalle sue braccia?
Non importa più perchè o chi:
voglio concentrarmi
sul vuoto delle braccia.
ma sono straordinarie!
Quest’autore va conosciuto meglio. Direi.
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mi stai facendo spendere un capitale in libri.
Non so più dove metterli.
😦
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🙂
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Stupende le ho lette e rilette….
aspetto qualche altra sua pubblicazione spicciola qui o in altro blog….ho finito i soldi e ho una montagna di libri ancora da leggere
Meritano davvero, complimenti!
ciao
.marta
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Vero vero 🙂
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Lo ‘stare a casa’ di cui parla Bergonzoni è l’opposto di come lo intende lei, A. Canzian. E’ come se l’autore dicesse: se volete un testo che vi rispecchi e consoli, non leggete poemi, dato che, par di capire, per Bergonzoni la poesia non è affatto una via per l’autoriconoscimento, quanto una maniera per un andare oltre l’immagine ristretta che ognuno, per inerzia, tende a fare di sé stesso. Saluto
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Mmmhhh… non capisco la critica….
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Intendevo dire che al contrario di quanto legge lei, Bergonzoni non consiglia di stare a casa, ma al contrario, invita a non cercare di riconoscersi tramite la poesia poiché la prestazione di quest’ultima sta nel portare verso uno sfiguramento del noto e quindi all’abbandono della casa. Che poi lui ci riesca è tutto da indagare, ma che i grandi poeti favoriscano questo, è evidente. Lei, volevo dire, ha del tutto frainteso il titolo dell’intervento al festival piegandolo verso un’interpretazione domestica. Tutto qui. A presto
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Ho letto il libro e come tu hai ben detto “senza pretese letterarie” l’ho trovato un ritratto, a tratti anche geniale, di un uomo che ha perso il controllo su di se e sul mondo, a cui non resta altro nella vita che riconoscersi.
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Ma no non riconoscersi… ma riconoscere…
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nella parola scritta Bergonzoni corre per poi scattare improvvisamente di lato come fa nella sua affabulazione: a volte di ritrovi un taglio sulla pelle e non ti eri neanche accorto che qualcuno avesse estratto un rasoio
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Amanda 🙂
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L’ha ribloggato su Seidicentee ha commentato:
Mi accompagni in bagno?
Non puoi andarci da solo?
Mi sto preparando per quando sarò paralizzato…
Mi accompagni o no?
No, mi sto preparando per quando sarò sorda…
da “L’amorte” di Alessandro Bergonzoni
Buon divertimento 😉
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