Così nascono versi che sarebbero piaciuti a Garcìa Lorca. Queste sono le parole, poste in bandella al volume Latitudine dei sogni (Guanda 2013, traduzione di Roberta Bovaia), che aprono e introducono la poesia di Carmen Yáñez. Poetessa di Santiago del Cile, scappata da Villa Grimaldi e in clandestinità fino al 1981, attualmente vive in Spagna. La sua poesia ha una forza delicata non solo tra le parole, ma anche tra le labbra che recitano queste parole. Ha duende avrebbe detto Lorca.
Una costruzione che tende ma senza soffocare al mito, un mito privato, intimo, meditativo, che si appoggia su figure e simboli a volte condivisi a volte personali. Con un’esperienza che trasuda da certi versi in maniera luminosa ma senza la violenza di un abbaglio, anzi con la delicatezza di una carezza buona che dice il vero.
Il tallone ferito che impedisce talora di avanzare / che va e viene / come l’onda che morde / malgrado la sua bellezza implacabile, oppure Amare con odio di mare in burrasca, oppure Ormai donna, autunno avanzato, / la matematica dell’esistenza sono versi da leggere e rileggere, da fare propri. Come questa meravigliosa immagine, carica di un intenso erotismo femminile che sa guardarsi, sa amarsi, senza finzioni. Questo disegno incommensurabile e perfetto del sesso di una donna, e del suo innamorato desiderio: Fu più forte la prigione, le quattro pareti / che racchiudevano questa pelle di donna; / lo stigma del sesso, / la frontiera limitata, / la parte angusta dell’imbuto / da cui passa il filo fragile e trasparente del desiderio.
Latitudine dei sogni
Una se ne sta tranquilla
in un alberghetto di Saint-Malò
la costa smeraldo di antichi corsari
davanti al mare, insomma, esposta.
E di colpo batte il Pacifico splendido
la brezza alimentata di eucalipti
sulla riva di un ricordo indelebile
dove albergò la piccola felicità
che regge le vertebre della vita.
Dove si conserva il mare che ci apparterrà per sempre?
In quale organo si occulta dopo tanti viaggi?
In quale viscera ulula la bestia dei ricordi?
L’infanzia che sgorga tra le onde
dalla finestra di un esilio che incessantemente ci avvolge
con le sue piccole mani ora.
Sassolini che raccoglievo con tutto quello che trovavo
nelle piccole tasche rotte.
Una se ne sta tranquilla
a camminare sulla sabbia,
ma le scarpe rallentano col loro peso.
Tanta vita camminata!
Anche se i piedi vogliono staccarsi da terra
confondersi con il blu.
E in fondo uno sa
che tutto è illusione
il qui e il là nel corpo.
L’unica verità è il dolore,
il taglio fastidioso
che ha fatto il filo di un ciottolo nella scarpa sinistra,
il tallone ferito che impedisce talora di avanzare
che va e viene
come l’onda che morde
malgrado la sua bellezza implacabile.
Metamorfosi
Cos’è la poesia scritta sul foglio bianco se non il
sospiro di un albero spirato da tempo?
E cosa, la parola declamata se non la voce del vento
passato sfiorando il delirio della bocca?
E cos’è il libro chiuso tra gli scaffali, se non un
paesaggio ordinato di alberi morti?
E cosa, il libro aperto nell’insonnia se non fantasmi
del bosco avanzati fino al capezzale nella veglia?
E il libro perso e dimenticato non è forse figlio dei
tronchi consumati dalle fiamme dell’oblio?
E la parola?
Sottile trasparenza.
Specchi dell’acqua
in cui si riflette il bosco
ere si ripete la fortezza.
Acque profonde
in cui si moltiplicano gli arcani.
Non voglio il verbo
che strangoli la bellezza
nella bocca del lupo.
Voglio la parola
che scivoli per caverne terrestri
verso il palpito.
Assenza
Sfuocata nello specchio
l’immagine si deteriora
un rictus d’assenza
la ruga resta intatta
e patetica.
È reale l’oblio
sorda galleria
del silenzio.
In lontananza
campane rintoccano
un cane latra
la sera disegna un sole arancione.
Là
le banchine sono rimaste vuote.
Ecco
Dove, dove le mie braci, ora cenere!
Dove, il tuo uragano di vento e foglie
che m’accendeva!
Lo spirito del vino e del sangue
nelle due coppe del romance
e il branco di destrieri imbizzarriti
e la fuga di cervelli che sovvertiva
il corso delle nubi.
La tua giovane maglia, e la mia camicia sull’erba.
Dove, quel gemito!
Dove, la lampada del sole s’accende e si spegne.
Dove andavamo e venivamo come un miracolo,
spettinati e felici dai prati complici.
Ah, ah, amore, ci restano ancora
le mani tue fra le mie mani!
Certezze
Ci sei;
i gerani, le azalee,
la raccolta dei frutti
dell’estate del tuo amore
mi dicono dolcemente il tuo nome.
Ci sei;
i tuoi passi,
la scala che scricchiola deliziosa,
il tuo silenzio rumoroso
lassù in soffitta.
I fantasmi che ti spiano
le parole che incontrano le tue parole,
il tuo desiderio,
storie che entrano nella luce.
La tua rabbia,
una tempesta che scema con la sera calma.
Così scrivi per i giusti, degli stolti;
così la tua voce corre sui cornicioni.
Mi sei, mi esisti
ed è ora che devo
proteggerti lo sguardo.
È il tempo plurale
nostro,
il pretesto per parlare ancora d’amore.
È la sera sulla pelle
dorata di sole e anni.
È dolcezza che scorre ancora e non so
fino a quando nelle vene
di questo nostro piccolo mondo.
Amare
Amare i soliti riposti
dell’attesa
amare i silenzi
e le parole che riempiono
la casa dell’amore.
Amare la sera condivisa
la pioggia sul tetto
quando il cielo cade a pezzi
di tristezza.
Anche così amare
il martellio del temporale.
Amare il mondo
dove l’altro trova il proprio delirio.
Amare con odio di mare in burrasca.
Amare. Amare
il giorno dopo e l’ora della rugiada
quando svegliano i gerani
il loro messaggio di terra e vita.
San Miguel e nelle ombre
Ricordi quando c’inventavamo
il mondo davanti?
E il desiderio tra le foglie
e sotto la mia gonna?
Ricordi su Blanco Viel
e all’ombra dei platani.
Sera in cui raccolgo questa poesia
L’onda violenta la roccia
l’impregna con la sua pena salata
l’avvolge tra le sue braccia ferite
bagna il suo desiderio.
Picchia,
bacia, il suo dorso ruvido,
e l’abbandona,
ogni volta.
Dall’acqua esce la sera
con gli occhi gravidi d’amore.
Lacci
Restituita dall’esilio
al tuo sorriso,
tornerò semplice,
giusto un filo la voce della mia ombra
nel tuo specchio.
Ti parlerò dei nostri
dei,
dei nostri codici,
di questo mondo e questi gesti.
Quanto ci abbiamo rimesso!
E come ogni volta il nostro
sangue si risolleva
dopo essere
caduto!
Il lampo della mia stirpe
nei tuoi occhi
dall’altro lato del riflesso.
Risolutezza
Volli ai miei piedi il fogliame sull’argilla bianca,
un bosco di pioppi,
dove il sole ha il suo orto dolce d’oro.
La sabbia,
l’alta marea ardita,
il brivido che desta i sensi.
Essere di città.
Verità del rumore, la strada asfaltata
con i suoi guazzetti sbrigativi.
Fu più forte questa realtà di provincia brusca
con i suoi stridi di uccelli morti,
questo muro di selce
dove i cani si mordono per uno spazio
e orinano sullo stesso albero.
Monte, monte curvilineo e verde
fresco alle mie piante assetate.
Radici che inventa la mia fronte febbrile
sotto un cielo di cenere.
Fu più forte la prigione, le quattro pareti
che racchiudevano questa pelle di donna;
lo stigma del sesso,
la frontiera limitata,
la parte angusta dell’imbuto
da cui passa il filo fragile e trasparente del desiderio.
Rassegnazione
Mi sorridi dalla malinconia
sorridi con la tua aria di bimbo.
È già passata la bufera che spazzò
la formica verso i cardi del dolore.
Ora la calma
la riva del fiume.
Il fiume sfiorato dolcemente dalle lacrime del salice
le onde piccole della pena.
La scia dell’addio
l’alba del mio stoicismo.
Chiudere casa
Deve crescere
abbandonare l’utero della sua terra stretta,
chiudere la casa dei limoni.
Gradino dopo gradino, scalare la statura del vento,
e dal vento osservare la diaspora,
distruggere e costruire.
L’alchimia della sua storia.
Crescere nella parola vigorosa
passare lasciando un’eredità
tra i suoi.
Un patrimonio d’umiltà e certezze
un’aureola di malinconia scritta
dai suoi morti.
E soli, soli gentili,
agli esseri che lei ha visto crescere.
Ormai donna, autunno avanzato,
la matematica dell’esistenza.
Nel peso di una vita la dolcezza e due monazeni stretti gli occhi dove si risolve il cerchio come vapore queste poesie…come suonate col theremin a piedi nudi in giardino con le sagome nere degli alberi. è resilienza quell’alba, chiudere la casa crescere costruire..sulla ripida sporgenza dell’addio
Grazie perchè in questo tuo luogo sta bene il cuore, grazie di quest’ultima proposta e tante altre Grazie per sono una pozza di luce sul davanzale di Natale
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Grazie a te dei bei commenti
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Sto leggendo “Migrazioni”. Magnifico esempio di arte-vita, processo alchemico che trasforma il dolore in poesia
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