Da La passione della biografia di Cosimo Ortesta
Donzelli 2006
Rembrandt
I
Troppo occupato per poter viaggiare
dotato di prodigiosa fantasia
sembra che non abbia tuttavia
mai dipinto un vaso di fiori.
Gli interessava la dissezione anatomica
che immancabilmente però
e diversamente dalla scena da lui nel 1632 raffigurata
dallo stomaco iniziava
non dalla mano
II
Non era sempre solo nelle sue passeggiate
in quegli «anni del paesaggio» nei panorami
aperti e ventosi mentre si preparava a quanto
gli era stato serbato:
La morte di Saskia quando Titus
aveva appena un anno –
la cacciata di Geertge in un riformatorio –
Hendrickje fedele domestica e moglie
morta forse di peste –
Intanto sempre più gli piaceva
frequentare basse compagnie
III
Intransigente lo sguardo severa la bocca
nella sua faccia plebea
non si stancava di usare
come modello se stesso
pur di aiutarsi nello studio dell’uomo.
Il nudo e il paesaggio gli insegnarono
il peso dello spazio la continuità
delle forme del corpo
IV
Intimità e quiete
in una «Adorazione dei pastori»
dipinta su tela e in cornice nera
la parte superiore ovale
racchiusa in dorature e fogliame
per le sue ampie e giustapposte pennellate
è deliberatamente destinata
a essere guardata a distanza
V
Ruffo nel 1661 commissionò altri due quadri
e proprio l’anno della morte – nel 1669 –
l’ammiratore siciliano ordinò e ricevette
189 acqueforti dal maestro
sta sul tavolo accanto alla finestra
il bouquet bianco e rosso nella brocca
sopra la leggera tovaglia estiva
non ricordato non dimenticato
La passione della biografia
Immagini di maschi adulti e bambini
confuse più che la prima notte
– notte nella casa dolcissima
e perduta –
di sonno in sonno una lotta
a questa pausa felice
le spinge
se gravi in riposo divino
le mani
ricordano cose da altri
desiderate.
Ognuno sa cosa è meglio per sé.
Qui viviamo senza più meravigliarci
anche se a volte un verdeturchese
raddoppia il battito del cuore.
Lasciamo in pace non disturbiamo
il suicida: una terra di acquitrini e animali
trattiene ogni ombra
levità delle foglie già piagate e marcite.
Nessun grano di polvere va perduto.
Dolce è la vita – dicono –
ma lei s’indebolisce giovane superba
il seno acerbo la fronte serena.
Fluttua dopo un lungo volo
voce divorziata dalla mente.
Adesso è a casa, protetta nel suo nido.
Brevi lettere chiari pensieri
un sanguinoso epistolario di sera
si affolla nel dormitorio.
Diventare meno e sempre meno
questa – mi dici – è la condanna capitale
ma adesso nel giardino della casa riconciliata
docili anni i morti di nessuno
si stringono intorno a me
mondo che non ci guarisce insieme
e oscilla ancora in ostinata
nebbia in cima a scalinate
nel caldo cielo di Roma
in bocche senza baci senza più fiato.
Viene un’altra notte serena… abbiamo tempo
camminiamo ciechi e stretti nel bozzolo
dorato e sonoro, tranquilli e insanguinati
perchè muore così la nostra adolescenza.
C’è tempo – tutto il tempo – per restare fedeli
a questo nobile riparo
nostra perdizione
verso il freddo occidente.
Viene un’altra notte serena
e stiamo quieti, o sembra,
mentre si strema e incanutisce
il nostro dolore di immobili fuggiaschi.
Avevo deciso per il meglio una vita chiusa
in due camere arredate: una vera vita
che molto gentilmente per mio bisogno d’assistenza
intanto da me si scostava
e per il meglio ancora decideva.
Adesso infatti mi basta
un poco del mio sonno
appena un poco della tua veglia.